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Anmitsu: un dolce del passato

Progetto Kuishinbo: iniziamo!

Sarà l’anmitsu あんみつ, squisito dolce giapponese che giunge sino a noi dall’era Meiji, ad inaugurare il Progetto Kuishinbo nato dalla collaborazione con Ikiya di Treviso.
Un progetto nato da abbozzi tracciati timidamente forse nei primi bagliori di primavera. Non lo so. Quel forse sfuma i confini del ricordo.

Iridescenze

Ma in fondo, cosa importa?
L’estate era rovente quando il corriere suonò al mio campanello e quando, aprendo la porta, venni investita da un’invadente folata di aria bollente e pesante. Il pianerottolo e tutte le scale erano illuminate da quel sole brillante del primo pomeriggio, con quei raggi puri e chiari che ci ricordano la limpidezza con cui i nostri occhi bambini scoprivano il mondo.

Ricordate quel sole? Lo ricordate nella sua iridescenza sembra ombre e senza limiti? 
Era l’infinito. Era l’orizzonte imperscrutabile della baia di Tokyo. Era semplicemente il presente e null’altro.

E anmitsu è il sapore dell’estate. Anmitsu ora è il ricordo dell’estate cristallizzato in una composizione dolce e così esteticamente gradevole alla vista oltre che al palato.

Amabili sapori dal Giappone

Un gradino dopo l’altro e sarei arrivata a quel pacco di cui conoscevo il dolce contenuto. Dalla fragrante dispensa nipponica di Ikiya di Treviso sono giunti, fino a me, in quel bruciante primo pomeriggio d’estate ingredienti che – come strumenti musicali – sanno armoniosamente come fondersi e unirsi fino a formare confortanti sinfonie di sapore.

Farina di riso glutinoso, marmellata di fagioli azuki di Hokkaido, tè matcha freschissimo e dall’inebriante profumo dei campi di Shizuoka...

Ingredienti per anmitsu
Tè matcha

Anmitsu: la macedonia del Sol Levante

Questo delizioso anmitsu è un dolce che potrete preparare senza difficoltà perché versatile e facilmente adattabile. E’ paragonabile ad una macedonia proprio perché è un insieme colorato e goloso di vari ingredienti. La versione che vi propongo è tra le più comuni in Giappone ma le possibilità di variazione sono moltissime a seconda dei propri gusti e degli ingredienti a disposizione.

La flessibilità dell’anmitsu fa di questa ricetta la soluzione ideale per chi volesse provare un dessert giapponese senza ammattire alla ricerca di ingredienti difficilissimi da reperire oppure attrezzi e stampi da veri gastronomi fissati. 

Versatile anmitsu

Anmitsu

Per comporre un buon anmitsu goloso ma che mantenga comunque quel nonsoché di giapponese bisogna ricordarsi di includere almeno una parte degli ingredienti chiave, come ad esempio:

  • una base di gelatina kanten cubettata;
  •  frutta fresca oppure sciroppata o un mix di entrambi;
  •  della marmellata di fagioli azuki;
  • semplici dango (semplici polpettine di farina di riso glutinoso);
  • una spruzzata di kuromitsu;

Alcune varianti, invece, prevedono anche la presenza di gelato, castagne bollite, kinako (farina tostata di soia), biscottini o sottili cialde dolci, panna montata, miele o sciroppo d’acero come sostituti del kuromitsu, ecc.
Potete liberamente fare tutte le sostituzioni che vorrete cercando però di mantenere un paio degli ingredienti chiave che vi ho elencato.

Come procediamo?

Per comporre un buon anmitsu che sia il più giapponese possibile, vedremo insieme come preparare i tre elementi che secondo me ci devono essere: il kanten o gelatina vegetale, i dango o gnocchetti di farina di riso e kuromitsu ossia sciroppo di zucchero di canna grezzo. 
L’altro ingrediente fondamentale è l’anko o marmellata di fagioli azuki ma poiché una preparazione corretta dell’anko richiede tempo, possiamo tranquillamente e senza sensi di colpa optare per una versione già pronta che troverete nei market alimentari asiatici oppure da Ikiya !
Prepareremo questi tre elementi, riuniremo gli altri ingredienti dopodiché non dovremo far altro che comporre il nostro delizioso anmitsu.

Preparazione del kanten

Per preparare il kanten da utilizzare come base per l’anmitsu, vi serviranno pochi istanti e pochissimi ingredienti. Vediamo quali:

  • 500ml di acqua
  • 4g scarsi di agar agar in polvere
  • 2 cucchiai di zucchero semolato
  1. In un pentolino versare l’acqua e il kanten (nome giapponese dell’agar-agar) in polvere. Mescolare bene e portare ad ebollizione a fiamma medio bassa.
  2. Aggiungere lo zucchero, mescolare e lasciare sobbollire per un paio di minuti.
  3. Trasferire il composto in un contenitore quadrato o rettangolare, lasciar raffreddare a temperatura ambiente prima di riporre in frigorifero. Il kanten si solidificherà e potrà poi essere tagliato a cubetti all’occorrenza.

Preparazione dei Dango

Il procedimento per preparare i dango è il medesimo per entrambe le versioni.

Dango bianchi
25g di farina di riso glutinoso
2 cucchiai d’acqua
1 cucchiaino di zucchero

Dango verdi al Matcha
25g di farina di riso glutinoso
2,5g di matcha purissimo
1 cucchiaino di zucchero
2 cucchiai d’acqua

Per entrambi gli impasti:
1. unire farina, zucchero (e il matcha per la versione verde). Mescolare bene.
2. Aggiungere l’acqua gradatamente e incorporarla al resto degli ingredienti aiutandosi con una forchetta e poi con le mani;
3. lavorare l’impasto fino ad ottenere una pallina morbida. L’impasto risulterà leggermente friabile quindi maneggiatelo con cura;
4. Tenere entrambe le palline d’impasto (verde e bianco) coperte fino al momento dell’utilizzo;

Preparazione dango

6. Ricavare da entrambi gli impasti tante palline della misura, più o meno, di una nocciola.
7. Schiacciare leggermente ogni pallina con un dito fino a formare una fossetta al centro.
8. Far bollire i dango in acqua e tirarli su non appena questi affioreranno in superficie.
9. Trasferire immediatamente i dango in acqua fredda.

Preparazione del kuromitsu

Vi avevo già parlato di questo delizioso sciroppo che racchiude dentro di sé il sapore di Okinawa. Ecco QUI il post originale.
La ricetta è rapida, economica ed è semplicemente da fare subito perché una delizia di questo tipo non si può non assaggiare. 
Abbiate solo l’accortezza di usare esclusivamente zucchero di canna grezzo Muscovado (o Mascobado, che di si voglia). Non usate, per nessuna ragione al mondo, lo zucchero di canna marroncino comune come sostituto. 

4 cucchiai da minestra di Kokuto o zucchero Muscovado (NON sostituitelo con lo zucchero di canna comune)
4 cucchiaini da caffè di acqua fresca

In un pentolino versare lo zucchero e l’acqua. Mescolare bene. Far cuocere il composto a fiamma bassa e lasciarlo sobbollire per 3 o 4 minuti. Mescolare bene, lasciar raffreddare e trasferire in una contenitore che potrete conservare in frigo.

E Anmitsu sia…!

Ingredienti anmitsu

Ora non ci resta che occuparci della parte più divertente: l’assemblaggio!
Nella foto vedete tutti gli ingredienti che ho utilizzato per assemblare il mio anmitsu. 

In alto ci sono i tre elementi che abbiamo visto come preparare in casa: 

– il kuromitsu
– i dango sia bianchi che verdi
– la gelatina kanten

Inoltre ho usato:

– marmellata di fagioli azuki di Hokkaido
– una banana
– qualche fettina di kiwi
– frutta sciroppata

1. Scegliete una bella scodella.
2. Riempitela con i cubetti di gelatina kanten.
3. Sopra la gelatina sistemate in maniera ordinata gli ingredienti rimanenti/
4. Decorare con una generosa spruzzata del vostro kuromitsu e….

いただきます!Itadakimasu!

Un ringraziamento speciale e sincero alle ragazze di Ikiya per aver scelto di collaborare con me e per la loro generosità. 
Non dimenticate di far loro visita se siete a Treviso e dintorni. Altrimenti potete sempre andarle a trovare virtualmente sul sito www.ikiya.it .

Biancorosso Giappone & Inari

codice sconto con inari
codice sconto con Inari

L’esclusivo codice sconto che vi presento nasce da una piccola e piacevole iniziativa nata tra Biancorosso Giappone e Inari , un prezioso angolo di Sol Levante a Torino! 

Quindi, non dovrete fare altro che cliccare QUI e utilizzare l’esclusivo codice BIANCOROSSOGIAPPONE (tutto maiuscolo e tutto attaccato, mi raccomando!) per lo sconto del 10% sul vostro acquisto.

Inoltre lo speciale codice sconto creato appositamente per i lettori di Biancorosso Giappone non ha scadenza (tranne che nei periodi di saldo) ed è valido su tutti gli articoli.

Kuishinbo: Progetto con Ikiya

Una fragrante amicizia

Kuishinbo: questo il nome del progetto-esperimento che ora lega in una fragrante amicizia Biancorosso Giappone e Ikiya.

Questa parola giapponese, dal suono aggraziato e dolce, significa golosone, ghiottone. Il Kuishinbo è un vero buongustaio ma anche un golosastro.

Ecco, dalla nostra immaginazione nasce questo ghiottone che – mantenendosi non si sa come in equilibrio – come un temerario acrobata percorre avanti e indietro il profumato fil rouge che ci collega. Kuishinbo se ne arriva tutto trafelato, con i baffi di anko sul viso, le mani appiccicaticce di kuromitsu, masticando avidamente una manciata di caramelline al ramune
Dal negozio di Ikiya di Treviso porta pacchetti di cose buone e ingredienti con cui preparare tante di quelle bonta che fanno girare la testa (e brontolare lo stomaco) ad un vero Kuishinbo.
E’ talmente impegnato a mangiucchiare che – ciomp ciomp – a fatica comprendo cosa mi stia dicendo. A questo aggiungiamo il fiatone: povero Kuishinbō si è fatto ben quattro piani di scale a piedi per portare qui nella cucina torinese di Biancorosso Giappone le prelibate provviste del Sol Levante
Sono finalmente riuscita a capire cosa mi stesse dicendo: semplici raccomandazioni su come conservare questo e quello ecc .
Ovviamente ha voluto sapere cosa preparerò ma non gliel’ho detto.

Sarà una sorpresa!

Siete pronti a scoprire quale sarà questa prelibatezza nonché autentica squisitezza da veri ghiottoni?

Kuishinbo, con la smorfia di un bambino a cui e stato detto “è ora di andare a dormire”, dalla tasca ha tirato fuori uno dei tanti umaibo gusto teriyaki, l’ha scartato facendo mille briciole e se n’è andato.

Masticando con una smorfia rassegnata.

Ciomp ciomp.

Allora a presto con la prima ghiottoneria da Kuishinbo!

Mariben: Le basi.

Parte1

Mariben
Mini guida ai Mariben

La rubrica dei Mariben, annunciata a metà aprile proprio qui con un articolo introduttivo, inizia oggi la sua prima puntata. Se non avete ancora letto quell’articolo vi consiglio di cominciare da lì per avere le idee chiare sugli obiettivi di questo neonato spazio tematico.

Che cosa sono i bento?

La parola giapponese 弁当 bento o お弁当 obento (che trovate traslitterata a volte anche come bentō o bentou dove il trattino sulla o finale oppure l’aggiunta di una u al fondo indicano l’allungamento vocalico che in giapponese ha valore distintivo*) si riferisce a un pasto sistemato all’interno di un apposito contenitore.

Se si volesse fare un paragone nella nostra cultura diremmo che i nostri bento sono la schiscetta o il baracchino (come lo chiamiamo a Torino) ecc.

Insomma, un pasto ordinatamente messo in un contenitore, pronto per essere consumato al lavoro, a scuola, in viaggio, durante un pic-nic.

Essenzialmente il bento è questo.

*D’ora in poi, per evitare confusione e per facilitare le ricerche di chi vuole informazioni su questo argomento, userò la traslitterazione “bento” che – pur essendo da un punto di vista strettamente linguistico imprecisa perché priva dell’allungamento vocalico – è la forma di trascrizione più comune in occidente.

vecchio bento
Un mio vecchio bento di antiquariato

Origini del bento

Ogni volta che si inizia a scavare nel passato alla ricerca delle origini di qualcosa ci si imbatte, molto spesso, contro elementi nebulosi che rendono il puzzle affascinante ma anche arduo da ricomporre.

L’etimologia può a volte essere una fonte stimolante da cui iniziare queste intriganti indagini.

Parrebbe, infatti, che la parola giapponese 弁当 bento derivi da 便當 biàndāng una parola cinese che un tempo significava comodo, pratico ma poteva anche riferirsi al sostantivo corrispondente.

Quindi il concetto di praticità gastronomica, cioè del non voler rinunciare ai piaceri del palato anche quando lontani da casa propria, era già stato eloquentemente formulato ed espresso nell’antica Cina, la prima e grande maestra del Giappone.

L’importanza del saper confezionare un pasto da asporto che fosse ben bilanciato, esteticamente gradevole e che si potesse conservare per un ragionevole lasso di tempo (ricordiamo che erano epoche dove non si aveva il lusso del frigorifero) era un sapere noto e coltivato.

D’altronde i bento, in Giappone soprattutto, avrebbero ricoperto un ruolo di rilievo in varie situazioni: dal viaggio alla pausa a teatro, dai festival alle varie ricorrenze che scandiscono il calendario giapponese.

Varie testimonianze ci raccontano delle prime tracce di questi pasti da asporto presenti già dal movimentato Periodo Kamakura (1185-1333), di un perfezionarsi di questa forma di gastronomia da asporto durante il mio amato Periodo Edo (1603-1868) fino a toccare curiosissimi sviluppi di questo elemento così squisitamente giapponese nel corso dei periodi storici successivi.

Penso ad esempio alla gogna a cui venne sottoposta la pratica del bento durante il Periodo Taisho (1912-1926) dopo la Prima Guerra Mondiale e l’indebolirsi dell’agricoltura perché percepito come pericoloso strumento di disparità tra figli di famiglie appartenenti a strati sociali diversi. Per me i bento del Periodo Taisho rimangono associati all’immagine della scatola di metallo semplice e senza decorazioni.

Il bento è stato poi riscoperto e in un certo senso “perdonato” per le sue tendenze discriminatorie intorno agli anni Ottanta, periodo del grande boom in questo senso, coadiuvato anche dai messaggi televisivi che orientavano l’opinione pubblica in favore nuovamente di questo antico pasto da asporto.

Tipi di bento

Esistono tanti tipi a seconda ad esempio di ciò che contengono. Possiamo pero dire che fondamentalmente esistono quelli casalinghi e quelli già pronti.

Tra quelli casalinghi annoveriamo i cosiddetti キャラ弁 kyaraben ovvero quegli elaboratissimi bento che le mamme giapponesi confezionano con tanta pazienza (ma anche tanta – forse troppa – competizione con le altre mamme) per i propri bambini. Si riconoscono perché sono molto belli e generalmente riproducono personaggi amati dai piccini come Doraemon, Pikachu, Spongebob ecc.

Sempre tra i bento casalinghi ritroviamo quelli semplici – e i miei preferiti – che milioni di mamme e moglie giapponesi preparano ogni giorno per il lavoro o per la scuola. Sono quelli preparati con ingredienti semplici ma che sanno di casa.

ekiben
Due miei ekiben sullo Shinkansen per Kyoto

In giapponese esiste una bellissima espressione per indicare il sapore speciale della cucina di casa o comunque quella della mamma: 袋の味 fukuro no aji. A me piace pensare che il fukuro no aji ci sia in tutti i bento preparati da qualcuno che vi vuole bene oppure in quelli che vi preparate da soli.

ekiben
Un delizioso ekiben al bambù che ho gustato sullo Shinkansen per Kyoto

Tra i bento già pronti, invece, ricordiamo gli 駅弁 ekiben ossia quelli in vendita presso le stazioni ferroviarie (駅 eki in giapponese significa proprio stazione). Spesso gli ekiben riflettono le specialità gastronomiche della zona in cui è ubicata la stazione stessa.

Gli ekiben sono certamente irrinunciabili se fate un viaggio sullo 新幹線 Shinkansen, il famoso treno ad alta velocità che collega il Kanto col Kansai.

Deliziosi bento già pronti si trovano in tutto il Giappone presso i famosi konbini, quei negozi aperti 24 ore su 24 e che vendono veramente di tutto. Quante volte, in preda alla pigrizia o semplicemente ad una fame incontenibile, ho comprato i bento dei konbini. Li ricordo ancora bene e con gastronomica nostalgia.

Di che materiale sono fatti i bento?

I materiali più comuni sono la plastica, il legno, la melamina, bambù intrecciato, ecc.

Tra i bento più pregiati e costosi, ma che sono anche tra i più belli in assoluto, ricordiamo i 曲げわっぱ magewappa fatti tutti a mano da abili artigiani, usando il profumatissimo legno di cedro della Prefettura di Akita.

Qui un esempio di magnifici magewappa di Akita-ken.


Parliamo di Mariben

E siccome questo spazio tematico è dedicato ai Mariben e a tutti i Mariben che preparete insieme a me, per adesso tralasciamo le notizie di carattere generale e su cui – non preoccupatevi – faremo ritorno a tempo debito.

Vediamo di iniziare a capire quale sia tutto l’occorrente necessario per cominciare.

Vi mostrerò tutto il materiale che secondo me serve per iniziare a confezionare dei Mariben casalinghi ricordando che anche questo spazio si fonda sullo stesso principio della mia rubrica di cucina giapponese casalinga, vale a dire:

tutto l’occorrente deve poter essere facilmente reperibile e ad un costo modesto. Non sarà obbligatorio (che pretesa assurda sarebbe!) procurarsi articoli originali giapponesi poiché a rendere speciali i vostri Mariben non saranno gli oggetti in sé ma il come deciderete di prepararne e disporne il contenuto.

I contenitori

Qui solitamente si parte dal presupposto che si debba tassativamente possedere un bento originale giapponese. Niente di più falso.

Se avete già dei bento giapponesi allora ovviamente rispolverateli e iniziate a utilizzarli con grande orgoglio. Se invece desiderate acquistarne uno sono certa che rimarrete soddisfatti del vostro acquisto.

Diversamente utilizzate dei normalissimi contenitori tipo Tupperware. Potete anche, se volete, fare un giretto in un negozio come Tiger (o Flying Tiger come si fanno chiamare adesso) dove ultimamente sono in vendita tanti bento semplici a prezzo veramente molto basso. La qualità di Tiger non è eccelsa ma per iniziare possono andare bene.

Vi mostro i contenitori che utilizzo io per i Mariben. Ne ho due tradizionali in legno e due più moderni in melamina.

Mariben di legno
I miei amati Mariben di legno giapponesi
Mariben
Dettagli di un Mariben in legno.

Tra i due di legno, il mio prediletto è quello rosso. Acquistai questi due contenitori in Giappone dalla bottega di un artigiano di cui non ricordo più il nome.

Mariben
Tra i due Mariben in legno, quello rosso è il mio prediletto.

E tra quelli in melamina vi sono questi due di Hakoya, uno dedicato al celebre Totoro e regalo della mia preziosa Akiko e l’altro un acquisto che feci dal Giappone qualche anno fa.

Quello blu mi piacque subito perché mi ricordava certe locande di Kyoto lungo le sponde del fiume Kamo.

Mariben moderni
I miei Mariben moderni, in melamina.

Accessori interni

Sugli accessori potete veramente sbizzarrirvi.

Potete utilizzare quei pirottini di carta per muffin di varie dimensioni, dei foglietti di バラン baran ovvero l’erbetta decorativa di plastica per sushi e ottimo divisore, coppette di silicone, stuzzicadenti decorati, ecc.

Accessori
Accessori per Mariben

La formina rossa a cuore per modellare le uova sode proviene da Tiger. I pirottini a pois viola e bianchi vengono da un comunissimo negozio di casalinghi e sono quelli classici per mini-muffin. Idem per la formina arancione di silicone.

I pirottini rettangolari, la baran colorata, i divisori di gomma e gli stecchini decorativi sono giapponesi ma sono tutte cose che potete facilmente rimpiazzare. La baran, ovvero quell’erbetta per sushi, adesso si trova molto comunemente nei market asiatici. Provate a dare un’occhiata!

–> Come divisore potete tranquillamente usare dei ritagli di carta da forno, ad esempio.

Consiglio: andate a curiosare nei negozi di casalinghi oppure nel reparto di articoli per feste di un qualunque ipermercato. Molto probabilmente troverete interessanti assortimenti di pirottini di vari materiali e stecchini decorativi con cui abbellire i vostri specialissimi Mariben!

Mariben
I miei stecchini o picks per Mariben

Per avvolgere i Mariben

Generalmente i bento sono dotati di un laccetto che li tenga ben chiusi. Il laccetto tuttavia non basta e allora si avvolge il bento in un panno che poi si annoda per bene oppure si può utilizzare un sacchetto.

A me piace usare entrambi i metodi ovvero sia il panno che il sacchetto. Ci sono volte in cui uso tutti e due contemporaneamente.

Se il vostro contenitore è un Tupperware o simili quasi sicuramente avrà una chiusura ermetica ben salda. Potrete allora decidere se avvolgere il vostro pranzo in un panno o se usare una borsettina.

Ricordate che il panno farà anche da tovaglietta.

Questa è la mia borsetta termica da bento. Come vedete è molto semplice e senza pretese ma ci sono tanto affezionata.

Mariben
Mariben avvolto nella borsetta termica

In Giappone generalmente si usano dei panni chiamati ふろしき furoshiki. Questi panni esistono di varie misure e di infiniti decori e colori.

Questi sono alcuni dei miei furoshiki.

furoshiki
Alcuni miei furoshiki
Furoshiki
Furoshiki per Mariben

Per il furoshiki andranno benissimo dei tovaglioli di stoffa un po’ ampi, dei panni o dei ritagli di un tessuto che vi piaccia particolarmente.

Anche qui non è assolutamente tassativo usare un furoshiki giapponese. Qualunque pezzo di tessuto quadrato può diventare un vostro bellissimo e irripetibile furoshiki.

Potete scegliere tra cotone, lino, tessuti sintetici. A voi la scelta. Personalmente consiglio tessuti come il rayon che sono maggiormente flessibili e permettono di essere piegati e annodati con più disinvoltura rispetto al cotone.

Preparate dunque i vostri accessori…

Perché dalla prossima puntata inizieremo a vedere da vicino la formula per preparare un vero bento giapponese che sia bilanciato ed esteticamente gradevole oltre che delizioso.

Ricordate di usare l’hashtag #Mariben e #biancorossogiappone 

Mata ne!

Watoji: rilegatura giapponese a Torino

Ai tanti sprazzi di giapponesità che costellano veramente la mia quotidianità, spesso in maniera inaspettata e sorprendente, si è aggiunta qualche giorno fa un’incantevole opportunità: un corso di 和綴じ watoji, ossia la rilegatura giapponese.

Watoji

Quaderno giapponese realizzato da me al corso.

L’evento mi era stato segnalato dalla mia cara amica Laura di WEeKanDesign.it la quale – e lo annuncio ufficialmente e con un certo orgoglio – si occupa ora tra le tante cose anche della comunicazione per Biancorosso Giappone.

Grazie a Laura, dunque, sono venuta a conoscenza di un’interessante associazione a Torino che si chiama Sulla Parola, in Via Cibrario 28. Potete visitare il loro sito proprio qui.

In questo brillante luogo di condivisione della conoscenza, tutto però proposto in un’atmosfera avvicinabile e non d’élite, l’offerta dei corsi è molto attraente. Tra i corsi che Sulla Parola propone periodicamente ci sono dei laboratori di watoji, o rilegatura giapponese, come quello a cui ho avuto il privilegio di partecipare il 14 aprile su gradito invito della gentile signora Sabrina Bartolone che gestisce l’associazione.

Rilegatura giapponese

Locandina dell’evento sulla rilegatura giapponese.

Nonostante la mia solita e ormai prevedibile timidezza, ho voluto partecipare sapendo che avrei acquisito, da persone competenti e appassionate, una conoscenza preziosa.

Ed è stato proprio così.

Il corso

rilegatura giapponese

Il mio piano di lavoro

Il corso, condotto dalla preparatissima e paziente Inés Sánchez, aveva come obiettivo quello di trasmettere alcune nozioni generali sull’arte della legatoria del Sol Levante permettendo al contempo ad ogni partecipante di realizzare – con le proprie mani – un quaderno tradizionale giapponese.

In questo ambiente luminoso, rilassato, tranquillo e con i raggi di sole di un sabato torinese che illuminavano tutta la via, abbiamo ascoltato l’appassionante spiegazione di Inés che ci ha condotte attraverso varie epoche storiche dell’Asia e aspetti intriganti dei materiali protagonisti.

Profumi di storia

Siamo passate dall’invenzione della carta in Cina nel remotissimo secondo secolo a.C. (ben mille anni prima della sua introduzione in Europa!) ad un rapido excursus sui materiali. E nel frattempo la mia mente ripensava ai vari stadi evolutivi che la legatoria ha attraversato in Giappone arrivando poi a conoscere stili e forme più standard nel mio amato Periodo Edo (1603-1868).

Washi

Un testo in spagnolo dedicato alla 和紙 washi, la carta giapponese.

Proprio nel Periodo Edo, infatti, la stampa e l’industria editoriale sbocciarono in seguito alla pace finalmente ritrovata attraverso la riunificazione politica e quindi all’emergere di una nuova classe, quella dei 町人 chonin ossia dei mercanti. Questa ritrovata – e sudata – stabilità sociale ed economica portarono ad un innalzamento dei tassi di alfabetizzazione e di conseguenza al fiorire di un interesse letterario che non fosse solo appannaggio esclusivo delle classi nobili. E’ in questo periodo che la letteratura giapponese conobbe il suo avvio alla diffusione popolare.

Conoscenze preziose per tutti

Uno degli aspetti più intriganti di questo corso è la sua avvicinabilità, ovvero il suo essere alla portata veramente di chiunque. Non sono richieste doti manuali particolari e nemmeno competenze specifiche e di nicchia. Chiunque può imparare la tecnica della rilegatura giapponese semplice utilizzando materiali comuni e che – volendo – possono tranquillamente essere di recupero.

Essenzialmente ciò che serve sono carta (non necessariamente giapponese ma andrà bene anche della carta da regalo ad esempio), cartoncino, ago e filo, forbici, fogli bianchi, un piccolo trapano per il fai-da-te oppure degli spilloni resistenti per fare i fori sul dorso.

L’ardua scelta della carta giapponese

Ci è stato chiesto di scegliere tra due decori di carta giapponese e che avrebbero costituito la copertina del nostro quaderno artigianale.

carta giapponese

Magnifici fogli di carta giapponese

Non è mai facile scegliere, a mio avviso, la carta giapponese perché è sempre così evocativa e ricca di dettagli da avvertire ora una sintonia con uno e ora con un altro.

Tra le due scelte proposte, tuttavia, mi sono orientata verso la carta con pennellate turchesi da cui spiccavano i ciliegi in fiore e alcuni elementi che mi hanno ricordato l’arrivo imminente dell’estate.

Passo dopo passo, tra una pennellata di colla e una misurata coi righelli, era giunto il momento di avvicinarci alla parte forse più impegnativa ma anche quella più emozionante di tutto il progetto: la cucitura.

La cucitura

Per l’occasione la maestra Inés aveva portato delle spolette di bellissimo filo colorato. Era nostro il compito di selezionare, in base alla propria sensibilità estetica e gusto, il colore che meglio si abbinasse al decoro della carta prescelto.

Io ho virato verso il rosso, la versione tangibile di quel fil rouge che continua a tenermi legata – attraverso mille insospettabili sorprese – al mio caro Giappone.

Cucitura watoji

Cucitura sul dorso del quaderno.

Nella rilegatura giapponese esistono vari stili di cucitura del dorso, alcuni dei quali erano visibili grazie a dei campioni che Inés ha realizzato a scopo dimostrativo.

cuciture

Campioni dimostrativi di cuciture per rilegatura giapponese

Lo stile di cucitura che abbiamo appreso e utilizzato quel giorno è quello chiamato  麻の葉綴じAsanoha-toji che significa rilegatura a foglia di canapa perché il motivo geometrico che si ottiene dovrebbe ricordare le foglie di questa pianta. Tra l’altro l’asanoha è uno dei decori più famosi dell’artigianato tessile giapponese tradizionale.

Cucitura watoji

Particolare della cucitura Asanoha-toji

Punto dopo punto, con le pazienti indicazioni di Inés e col mio filo rosso che scorreva deciso su e giù per i fori, siamo riuscite a terminare i nostri quaderni.

Che gioia soprattutto perché temevo non sarei mai riuscita ad ottenere un buon risultato.

watoji

Elegante particolare dei nostri quaderni giapponesi

Quaderno giapponese

Quaderno giapponese in esposizione al corso

Quaderno

Quaderno giapponese in esposizione al corso

Il valore della conoscenza trasmessa

Non è certamente un caso fortuito che ci si trovi a proprio agio e in armonia con le persone che, come noi, apprezzano il valore della conoscenza perché ne riconoscono il senso e il sacrificio compiuto per ottenerla.

Per me questa è stata un’esperienza molto arricchente che mi ha permesso di conoscere un luogo sano di aggregazione e di prendere parte alla ricerca di un sapere prezioso.

Un sapere, quello della rilegatura, intrecciato a un’arte che – come mi diceva con voce comprensibilmente malinconica Inés – sta lentamente svanendo inghiottito dalla corsa al tutto e subito e a poco prezzo.

Il valore del poter acquisire qualche frammento di un sapere antico in grado forse di farci rallentare, di farci riprendere fiato e di tornare ad apprezzare le piccole cose, è inestimabile.

Fosse anche solo il passare le dita delicatamente sopra un filo rosso pazientemente intrecciato mentre dalla finestra filtra un raggio di sole pomeridiano.

Ringrazio di cuore Sabrina Bartolone dell’Associazione Sulla Parola e la maestra Inés per questo inestimabile regalo.

Mariben: Gli obentō di Marianna

Mariben
Un nuovo spazio qui su Biancorosso Giappone: Mariben

Tra scatole di lacca rossa e del fragrante riso al vapore impreziosito da saporiti okazu nasce oggi Mariben.

Che cos’è Mariben?

Mariben è il nome che, in maniera molto naturale e spontanea, un giorno ho assegnato ai miei obentō.

I giapponesi hanno una grande passione: quella per le abbreviazioni e gli accorpamenti di esse per formare nuove parole (vedi パソコン pasokon ovvero personal computer / PC).

Ecco, Mariben nasce così, ispirandosi anche ai famosi 駅弁 ekiben, ovvero gli obentō acquistabili nelle stazioni ferroviarie di tutto il Giappone e che spesso riflettono le specialità locali.

Mari è il mio diminutivo ma è anche il nome che usavano e usano i giapponesi che conosco per rivolgersi a me. Ben, invece, è l’abbreviazione di 弁当 bentō.

Insomma: Mari + Ben = Mariben.

Mariben quindi sono gli obentō di Mari.

Mariben
Un nuovo spazio su Biancorosso Giappone

Scelta della scrittura

I lettori più attenti, soprattutto coloro che studiano giapponese, noteranno che ho scritto il nome Mariben usando solo il sillabario hiragana. Questa scelta nasce da una volontà di rendere questo angolo semplice, di conferirgli quel nonsoché di casalingo e di garbatamente giapponese.

Il katakana del mio nome e i kanji di ben avrebbero, a mio avviso, interrotto quel flusso di semplice giapponesità che invece intendo trasmettere.

Una grande lezione e fonte d’ispirazione, in questo senso, mi è sempre arrivata da みなとみらい21 Minato Mirai 21, l’enorme e vivace distretto commerciale di Yokohama e nella scelta che i progettisti del tempo fecero decidendo di scrivere l’intero nome del conglomerato appunto in hiragana.

Il perché di questo spazio tematico

Negli ultimi due anni circa ho riscoperto la gioia del preparare obentō per me e per le persone a me care. Nel fare ciò, ho cercato nel frattempo di condividere i  risultati dei miei esperimenti ad esempio sul mio canale Instagram.

Questi esperimenti sono stati accolti, con mia grande sorpresa, con un entusiasmo contagioso!

Ho preparato dei collage in cui ho raccolto solo alcune delle fotografie di obentō che ho realizzato in questi ultimi due anni.

Mariben
Collage

Sono obentō semplici che però hanno dato gioia a chi li ha assaporati. Me inclusa, ovviamente.

Mi diverto a prepararli per me e per altri perché m’insegnano una lezione di valore: la riscoperta del piacere di volersi bene anche durante una pausa pranzo fuori casa stando lontani dai soliti panini e i soliti tranci di pizza; lontani dai bar, dai fast-food e lontani anche dagli avanzi ficcati in fretta e furia in un Tupperware.

M’insegnano anche la pazienza e la gratitudine per le piccole cose; m’insegnano a non sprecare e a valorizzare anche gli ingredienti più umili e semplici che praticamente sono protagonisti nella mia cucina.

Mariben
Collage

Giorno dopo giorno su Instagram sono iniziati ad arrivare sempre più commenti e un crescente interessamento verso i Mariben. In particolar modo, una ragazza con una pagina di nome MyStrawberryNoseBlog mi ha chiesto un giorno di realizzare una piccola guida per chi desidera iniziare a prepararsi gli obentō in Italia.

Mariben
Collage

Obiettivi di Mariben

Mariben
Collage

Questo spazio, sgombro da chissà che mire velleitarie, si propone i seguenti obiettivi:

  1. Esplorare un po’ le origine e la storia degli obentō;
  2. Raccontare qualcosa sul fenomeno degli obentō in Italia a metà degli anni Duemila;
  3. Fornire con semplicità le regole di base della preparazione di un obentō usando ciò che si ha e ciò facilmente possiamo reperire in un qualunque supermercato italiano;
  4. Consultazione assieme a voi di autentici bento-ricettari giapponesi;
  5. Condividere ricette, trucchi e astuzie che normalmente uso per i Mariben;
  6. Incoraggiare il diffondersi della cultura dell’obentō, totalmente adattabile anche sulla cucina e abitudini italiane;
Mariben
Collage

Quanto durerà questo spazio?

Questo spazio tematico nasce con l’intenzione di essere una miniserie ossia una piccola guida articolata in quattro o cinque puntate. Non mi pongo però limiti granitici;  lascio flessibilità a questi numeri regalandomi la tranquillità del poterli variare a mio piacimento.

Insomma, se bento-facendo, dovessi constatare un grande successo tra i lettori allora potrò pensare di sviluppare questo spazio maggiormente seguendo – e sarebbe magnifico – anche i vostri input!

Mariben
Un Mariben

Cosa si fa nel frattempo?

Mentre sarete in trepidante attesa dell’inizio della prima puntata di questa miniserie, potreste iniziare a seguirmi su Instagram, Facebook, Twitter e Pinterest. Poi potreste cominciare a rispolverare le vostre scatole da obentō (giapponesi e non) archiviate in qualche armadio e immaginare già i tanti Mariben che preparerete assieme a me!

A prestissimo, dunque. Ci conto, eh!

Mariben
Mariben

Miyabi e il doppio incanto del legno di faggio

Biancorosso Giappone è da Miyabi per il workshop di Tsumehito Minegishi da Miyabi - Torino

Biancorosso Giappone da Miyabi

Un legno che profuma di reminiscenze

Dal legno di faggio un doppio incanto di cui vi parlerò.

L’olfatto: il teletrasporto dell’anima

L’olfatto è il vero teletrasporto dell’anima.

Un teletrasporto intenso che ho potuto rivivere da pochissimo attraverso un legno su cui, vi confesso, stava per scendere una lacrima.

Ma andiamo per ordine. O quasi.

La casa di Ishii-san

Dei tanti luoghi a cui i lettori di Biancorosso Giappone si sono affezionati negli anni vi è sicuramente la famosa casa di Ishii-san, nel Kanagawa. Cliccando qui vi rimando ad un mio articolo del 2016 dedicato in particolar modo alla collezione di katana del sig. Ishii.

Ishii-san

Ecco la famosa casa di Ishii-san.

Ishii-san era il mio padrone di casa nonché papà di Saku-chan, una delle mie più care amiche.

Di questa casa vi ho parlato tante volte perché essa custodisce alcuni tra i miei ricordi più preziosi.

Ishii-san, discendente di una famiglia samuraica, molti anni fa ha ereditato questa magnifica casa tradizionale.

La casa, sottoposta regolarmente a meticolose opere specializzate di manutenzione da parte di artigiani specializzati nell’edilizia tradizionale giapponese, è un gioiello da qualunque parte la si osservi.

Interni casa

Quegli interni impregnati di quella fragranza di tatami e legno di faggio e di cedro.

Al suo interno essa è impregnata della fragranza elegante del tatami e … del legno di faggio e di cedro di cui sono fatte le intelaiature delle sue porte scorrevoli e i pannelli decorativi.

Da Miyabi, a Torino, il doppio incanto

Pochi giorni fa ho ricevuto, inaspettatamente, l’invito da parte dello chef Tezuka Masanori di Miyabi, l’associazione culturale giapponese di Torino, a prendere parte a un evento di rara e singolare preziosità:

My Hashi

Evento My Hashi da Miyabi

Si è trattato di un workshop che aveva come obiettivo quello di dare ai partecipanti un assaggio di un’arte che sa di antico ma che certamente è ancora molto viva: la carpenteria giapponese.

Il workshop era diretto dal signor Tsunehito Minegishi, (con l’assistenza della professoressa Daniela Moro docente di lingua e letteratura giapponese all’Università di Torino) un artigiano con una lunghissima esperienza alle spalle nel campo della carpenteria. Un’esperienza mirabile affinatasi in particolare da un’attenzione verso la 数寄屋造り Sukiya-zukuri ovvero uno stile architettonico residenziale che fa propri i principi estetici del wabi-sabi che governano le armonie e le atmosfere delle case da tè e della cerimonia del tè giapponesi.

Minegishi Tsunehito

Minegishi-sensei ci guida, attraverso una spiegazione dettagliata e coinvolgente, in un mondo a noi pressoché sconosciuto.

Dopo aver ricevuto una deliziosa accoglienza in questa limpida scheggia di Giappone proprio qui, nel cuore del capoluogo sabaudo, con crescente emozione abbiamo atteso l’inizio di un’esperienza che conserveremo gelosamente nei nostri ricordi e nel nostro sentire.

Il tavolo del maestro

Il tavolo del maestro

L’aspetto più emozionante dell’evento era l’obiettivo preannunciato nel programma, ovvero la realizzazione, attraverso la paziente guida di Minegishi-sensei, di un paio di お箸 o-hashi ovvero di bacchette tradizionali giapponesi che ogni partecipante sarebbe stato in grado appunto di creare.

Per far ciò, ognuno di noi è stato accolto da una propria postazione.

Pialla e forma

La Kanna o pialla giapponese e forma

La postazione di ognuno comprendeva una pialla giapponese che si chiama  鉋 kanna, una forma di legno e dei parallelepipedi di legno di faggio che avremmo pazientemente ma entusiasticamente modellato.

La piallatura come rievocazione del ricordo

gli attrezzi

Kanna o pialla giapponese con le sue lame smontate.

Dopo un iniziale timore avvertito anche solo nel prendere in mano questi attrezzi che sembravano così delicati ma cosi forti al tempo stesso, mi sono lasciata trasportare dal movimento – dall’esterno verso l’interno quindi l’esatto opposto della pialla occidentale – di ritmica lisciatura.

Ad ogni movimento corrispondeva l’emergere di nuovi trucioli che, in breve tempo, hanno ricoperto il tavolo e il pavimento.

E ad ogni movimento e ad ogni sbocciare di nuovi riccioli di legno, ecco elevarsi quel profumo.

Il profumo di Giappone per me coincide con poche cose ma che so identificare con precisione. Come ad esempio la fragranza innocente delle saponette キレイキレイ Kirei-kirei, gli effluvi contemplativi dell’incenso 毎日香 Mainichikoh, l’aroma avvolgente delle 焼き芋 yaki-imo ovvero le patate dolci giapponesi arrostite tipiche dell’inverno e il suggestivo odore garbato del legno di faggio.

Quest’ultimo ha il potere, sconvolgente e rincuorante al contempo, di trasportarmi istantaneamente nella casa di Ishii-san. Laggiù, seduta su quegli zabuton a sorseggiare tè verde freddo con Sakura e a deliziarci con ghiaccioli agli azuki per combattere l’afa agostana e accontentare la voglia di dolce e di convivialità.

Dalla fatica emerge una bellezza

La piallatura con la kanna richiede movimenti energici e scanditi da una certa costanza ritmica. Inevitabilmente, per me che non avevo mai piallato un pezzo di legno o di metallo in vita mia fino a quel momento, ho avvertito una certa spossatezza e forse anche una punta di timore di non riuscire nell’intento creativo.

Nonostante l’indolenzimento di braccia e dita, lentamente è emersa una garbata bellezza  ammantata di quella fragranza di reminiscenza.

Forma e legno

Forma e parallelepipedi di legno di faggio.

Bacchette artigianali in legno di faggio

Bellezza che emerge dalla fatica. Queste le ohashi di Laura.

Ad ogni partecipante è stato chiesto di scegliere se dare alle estremità delle proprie bacchette una forma ottagonale oppure se lasciarla quadrata.

La mia amica Laura, che non solo mi ha accompagnata ma che è autrice di tutte le suggestive foto di questo post tranne quelle della casa di Ishii-san,  ha optato per l’ottagono mentre io ho preferito rimanere sul più semplice scegliendo il quadrato che ho solo tentato lievemente di smussare agli angoli.

Qui le nostre お箸 ohashi:

Le nostre ohashi

Le nostre お箸 ohashi

Le bacchette

Le nostre ohashi fatte a mano da noi sotto la guida di Minegishi-sensei

Ohashi artigianali

Ohashi artigianali

Ed ecco dunque

Ed ecco dunque il doppio incanto: la rievocazione – sulla scia olfattiva del legno – di un ricordo prezioso di serenità e la realizzazione davanti ai nostri occhi di un oggetto di ricercata bellezza.

Le bacchette con le ceramiche di Miyabi

Ceramiche di Miyabi e ohashi fatte a mano

Ringrazio nuovamente con genuina gratitudine lo chef Masanori Tezuka di Miyabi per l’invito graditissimo, Minegishi-sensei per la maestria che ci ha donato con un sorriso, Asuka Ozumi del CeSAO per l’accoglienza squisita e tutto lo staff e i collaboratori di questo incantevole schizzo di Sol Levante su tela sabauda: Miyabi

E infine ringrazio con il cuore Laura di WEeKanDesign.it che collabora con Biancorosso Giappone in un fruttuoso e incoraggiante sodalizio. Sue sono quasi tutte le foto di questo post, ad eccezione delle due immagini della casa di Ishii-san.

Festival dell’Oriente: Un inaspettato mosaico

Risvegli

Sakura

Ciliegi in fiore per le vie di Torino

L’aria, a tratti già tiepida ma a tratti ancora con gelidi strascichi, ormai corre a perdifiato per le vie di questa confusa Italia annunciando a gran voce che la stagione della rinascita è qua.

Ce lo urla lei coi suoi assordanti sibili di sole ma ce lo comunicano, con un’eleganza allegra e a volte dolcemente esuberante, anche i fiori e le piante.

Ce lo raccontano eloquentemente i ciliegi in fiore che adornano con la loro celebrata bellezza alcune strade di questa mia Torino che ti entra nella pelle fino a fondersi nel tuo sangue. E s’insinua in te facendoti credere, seppur per poco, di essere grande come il mondo ma con il sapore intimamente famigliare di un quartiere.

Un invito

In questo clima di colori che sfumano e s’intensificano, di odori che ritrovano stordenti amplificazioni, d’idee animate da energiche propulsioni, ho accettato un invito.

Era un invito a partecipare a un evento che da alcuni anni ormai porta colori e novità in alcune grandi città italiane tra cui Torino: il Festival dell’Oriente.

Era la prima volta che partecipavo e – lo ammetto – ho accettato l’invito con una certa ritrosia dovuta a una mia insofferenza verso le fiere e i festival in generale. Non li ho mai amati particolarmente perché riescono inspiegabilmente a trasmettermi un senso di malinconia fortissimo. Saranno le ricostruzioni, le simulazioni, il finto, il sapore teatrale e da luna park della domenica sera che questi luoghi sembrano sempre avere.

Un Festival che mi ha sorpresa

Ma questa volta l’esperienza mi ha presa in contropiede facendomi un po’ ricredere sulle mie posizioni testarde.

Saranno state le mie due care amiche con cui ho condiviso piacevolmente questa giornata di Festival all’insegna dei colori e dei profumi d’Oriente; sarà stato il venerdì che ben si disponeva ad essere trascorso senza soffocanti calche; sarà stato il desiderio di trascorrere qualche ora in spensieratezza della leggerezza data da fardelli temporaneamente posati sul tavolo.

Cerimonie del tè e kimono al Festival

Sarà stata la cerimonia giapponese del tè a cui abbiamo assistito con molta calma e con il lusso di poter scegliere dove sederci. Sarà stata la gioia di aver incoraggiato Valeria ad andare sul palco, accettando così l’invito di Ruriko-sensei a prendere parte ad una vestizione del kimono prima di sedersi con lei davanti a una tazza di matcha.

Cerimonia del tè

Ruriko-sensei e Valeria durante la cerimonia del tè

Sarà stata la mia momentanea vittoria contro una timidezza solitamente sempre in agguato, che mi ha permesso di andare a presentarmi a Ruriko-sensei e ringraziarla per la rappresentazione appena svolta.

Saranno state le migliaia di colori che s’inanellavano l’uno nell’altro intrecciandosi in un mosaico che ai miei occhi e al mio olfatto sapeva di orgoglio buono.
Ognuno lì era fiero di quel che faceva, di quello che rappresentava e di come lo rappresentava.

Dolci, tè alla menta e frutta

Al Festival dell’Oriente c’erano vassoi stracolmi di dolci e frutta secca che sapevano di sole caldo e piogge tropicali.

C’erano danze mai sentite né viste che sembravano voler rappresentare scene di vita inedite ai nostri occhi così inguaribilmente cittadini.

Ruriko-sensei

Ruriko-sensei e il suo furoshiki color carta da zucchero.

C’erano l’elegante naturalezza di abiti indossati con la grazia di chi non ha necessità di arie. Dai kimono ai sari, dai qipao cinesi agli aodai vietnamiti.

Bicchieri di delicato tè alla menta marocchino ci lasciavano senza parole con il loro profumo fresco e avvolgente al tempo stesso. Tutto sembrava voler competere per avere la nostra attenzione.

Scie di Giappone

C’erano le 雛人形 hina-ningyoo dello ひな祭り hina-matsuri, la festa che i giapponesi celebrano a marzo e che è nota sia col nome di Festa della bambole o delle bambine.

hinamatsuri

Bambole per Hina-matsuri

 

 

In certi momenti, emozionata e quasi stordita dall’intreccio di colori, forme e significati, avrei voluto vedere tutto e sapere ogni cosa.

Quella sete di conoscenza e quella curiosità insaziabili che mi ha fatto capire, per l’ennesima volta, il mio grande amore per l’Asia e per il ricco e intricato arazzo da cui regalmente è avvolto e di cui qui al Festival dell’Oriente abbiamo avuto un delizioso assaggio.

 

samurai

Armatura da samurai

Idealizzazioni di ambientazioni giapponesi che avevano il sapore del sogno e non della realtà.

Case giapponesi

Idealizzazione di luoghi giapponesi

Koto

Suono del koto

E in sottofondo le note pizzicate del koto suonato da una sensei dal kimono blu scuro adornato, sobriamente, dal 家紋 kamon o stemma della sua famiglia.

oggetti

Oggetti e colori

E in ogni angolo quello stesso orgoglio offriva il meglio di ciò che rappresentava: dalla seta cinese alle scodelle di cocco smaltate; dagli unguenti balsamici del Vietnam ai materassini pieghevoli tailandesi; dai qipao cinesi neri e rossi con draghi di foggia antica a monili in giada; dalle terrecotte del Marocco alle bambole Kokeshi del Giappone.

Kokeshi

Bambola Kokeshi

Il Giappone che amorevolmente mi segue

E, senza farlo apposta, in un banco sono stata attratta inspiegabilmente da una scodella. Per un attimo mi era sembrato di tornare tra le bancarelle di Machida dove con Saku-chan trovavo e scovavo oggetti preziosissimi.

Non ero a Machida ma al Festival dell’Oriente dove ho trovato una scodella decisamente del periodo Showa, dei vasai Yamawa di Kawagoe:

Scodella giapponese

Scodella di Yamawa Tooki.
ヤマワ陶器.

Erano questi gli ingredienti ma soprattutto, credo, che ad aver contribuito all’incanto del tutto sia stato – seppur nei confini circoscritti del microcosmo di un padiglione – l’incontro pacifico e sereno di culture che si ritrovavano in un sol luogo per il piacere di farsi conoscere e rendere accessibile a tutti i propri tesori.

Tutto senza animosità, senza odio, senza disprezzo, senza ostilità.

In quel microcosmo dai confini circoscritti e controllati, anche se solo per poche ore, ho respirato il profumo della convivenza armoniosa fra esseri umani.

Cucina giapponese casalinga: ごま塩 Gomashio

Sono affezionata a questa mia rubrica di cucina giapponese casalinga, devo ammetterlo. Per me questo blog tutto è un luogo di sollievo dove riesco a rilassarmi ritrovando quell’inconfondibile conforto di casa, ma questo spazio in particolare rappresenta un po’ Biancorosso Giappone reinventato.

Mortaio giapponese

Il mio suribachi すり鉢.

Questa rubrica, ormai è noto, ha un obiettivo: proporre ricette della cucina giapponese casalinga autentiche, delicatamente riadattate per le cucine d’Italia, permettendo così una realizzazione senza ingredienti o attrezzi costosi e rari. Insomma, tutti gli ingredienti sono reperibili nei vostri Pam, Coop, Auchan, Crai ecc.ecc.

E la ricetta di oggi, il ごま塩 Gomashio, non fa certamente eccezione.

Tuttavia, in una pigra mattina di gennaio, stavo spensieratamente girovagando per le lindissime corsie di un NaturaSì, uno di quei supermercati dedicati al biologico che tanto sembrano andare di moda di questi tempi, quando…

… lì su quegli scaffali perfettamente ordinati e illuminati, ho visto lui: un すり鉢 suribachi.

Suribachi

Suribachi: il mortaio giapponese

Se ne stava vanitosamente in bella mostra, accanto al suo すりこぎ surikogi in legno giapponese, prodotto nella prefettura di Hiroshima:

Surikogi

Surikogi: il pestello giapponese.

Ai fini della preparazione del Gomashio non è obbligatorio avere questo mortaio in quanto potete tranquillamente utilizzarne uno all’occidentale oppure un macinino o un mixer.

Però ci tenevo tanto a riavere un mio suribachi perché lo reputo uno degli attrezzi fondamentali per chi cucina regolarmente piatti giapponesi casalinghi.

Cos’è un suribachi esattamente?

Il suribachi è dunque il mortaio tradizionale giapponese, accompagnato dal suo pestello di legno chiamato surikogi.

Il suribachi ha quasi sempre la forma di una scodella, di diametro variabile, di ceramica smaltata solo all’esterno e sul bordo. L’interno invece – rigorosamente non smaltato – è caratterizzato da un elemento particolare che lo distingue dai mortai all’occidentale: il 櫛目 kushime, ossia delle zigrinature che facilitano la tritatura degli ingredienti.

Mortaio giapponese

Semplice eleganza anche in un suribachi!

Quasi tutti i suribachi che vedevo in Giappone erano smaltati con quella tonalità di marrone che vedete in foto e che sembra essere un po’ il colore di default, tradizionalmente legato a questo attrezzo. Certamente li potete trovare anche di altri colori e di forme forse più contemporanee, ma il classico suribachi tradizionale ha quella forma e quel colore.

Il kushime ossia le zigrinature al suo interno rendono molto agevole la tritatura di semi, foglie, spezie e tutto ciò desideriate macinare finemente, ottenendo un risultato ottimo e con poco sforzo.

Un tempo in Giappone si usavano i suribachi per rendere più liscio e omogeneo la pasta di miso, ma al giorno d’oggi quest’operazione sta cadendo in disuso. Tuttavia, a questo antico mortaio mancano ancora molti e lunghi anni alla pensione in quanto rimane l’attrezzo di preferenza per tritare i semi di sesamo.

Dal suribachi l’essenza vera del sesamo

Credetemi: i semi di sesamo tritati in un suribachi sprigionano – con inconsueto ardore – tutto il loro inebriante aroma tanto da obbligarvi a domandarvi se non sia, dopotutto, il vostro primo incontro olfattivo con il vero profumo del sesamo!

Se noi oggi possiamo – senza né particolari fatiche né ingenti spese – reperire un attrezzo come questo che fonde in sé utilità, praticità e quell’eleganza minimal con pennellate di wabi-sabi tipica dell’estetica giapponese, lo dobbiamo forse soprattutto alla presenza e diffusione della macrobiotica in Italia dei cui passi pionieristici vi parlai qui.

E la ricetta che vi propongo oggi, non a caso forse, è un elemento importante nella cucina macrobiotica giapponese ma lo è altrettanto in quella giapponese casalinga classica, cioè quella sgombra da quei richiami settari che a volte queste discipline trasmettono con non velata solerzia.

Qual è la ricetta di oggi?

Si tratta del ごま塩 Gomashio, un condimento secco che ha due funzioni:

  1. Insaporire i cibi con una profondità inedita;
  2. Ridurre il consumo di sale senza rinunciare al piacere del sapore.

Il Gomashio è irresistibile nella sua semplicità poiché composto da soli due ingredienti:

sesamo e sale

Sesamo e sale marino: i pilastri del Gomashio.

Il Gomashio, anche nella sua stessa parola, è l’unione dei suoi pilastri: ごま goma ovvero sesamo e 塩 shio ossia sale.

Pronunciate questo nome mettendo una sorta di accento sulla i e non sulla a.

Usate preferibilmente del sale marino per questa ricetta.

Sesamo nero

Sesamo nero

Per quel che riguarda il sesamo, potete optare per quello nero come ho fatto io, oppure per quello chiaro. E’ indifferente.

Passiamo alla semplicissima ricetta.

ごま塩 Gomashio (o gomasio, secondo un diverso metodo di traslitterazione)

Ingredienti:

4 cucchiai di semi di sesamo nero o chiaro

2 cucchiai di sale marino

Procedimento

Ecco la sequenza illustrata e numerata del procedimento. Seguono le descrizioni dei passaggi.

Gomashio

Preparazione del Gomashio.

Passaggi

  1. Mettere a scaldare, a fiamma bassa, il sale a secco in una padella antiaderente. Girarlo spesso aspettando che prenda un leggerissimo colorito. Il colore deve essere appena percettibile.
  2. Trasferire il sale caldo nel suribachi (o mortaio oppure mixer) e triturarlo finemente fino a ridurlo in una polvere fine. Mettere il sale ridotto in polvere in una scodella a parte, a raffreddare.
  3. Nella stessa padella di prima, sempre a secco, mettere a tostare i semi di sesamo a fiamma media. Girarli spesso aspettando che inizino ad emanare un profumo di tostatura. I semini saranno pronti quando, prendendone uno in mano e schiacciandolo, vedrete che la pellicina inizierà a staccarsi. Attenzione a non bruciarli! Spegnere il fuoco e travasare i semi caldi nel mortaio.
  4. Nel suribachi versare, sopra i semi tostati, il sale precedentemente polverizzato e tritare il tutto senza applicare troppa forza. Il sesamo dovrà risultare macinato ma non in maniera eccessiva.
  5. Ed ecco pronto il Gomashio! 完成です。

Utilizzi

In commercio, soprattutto nei negozi di alimentari biologici, trovate questi gomashio già pronti che però sembrano troppo deboli. Lasciate perdere e fatevelo in casa.

Il Gomashio serve per insaporire tutti i vostri cibi, permettendo al contempo di ridurre il consumo giornaliero di sale.

E’ ottimo sul pesce, sulla carne, sulle verdure stufate, sul riso al vapore!

Io ad esempio ne metto un po’ sul riso al vapore. Questa era una mia semplice cena a base di salmone al cartoccio, zuppa di miso con cipollotto e patate e del buon gohan (qui la ricetta!) insaporito con il mio Gomashio.

 

Cena casalinga giapponese

Una semplice cena casalinga giapponese.

Conservazione

Una volta pronto, trasferite il vostro Gomashio in un barattolo pulito e chiudetelo bene. Credo si conservi tranquillamente a lungo, purché lontano da umidità e calore.

Gomashio

Profumatissimo Gomashio

Alla prossima ricetta di katei-ryoori!

E come si dice in giapponese prima di mangiare e bere:

Itadakimasu!

いただきます!

Pensieri fluviali: L`imperturbabile scorrere del fiume

Akemashite

あけましておめでとうございます。
Scritto da me.

Il fiume scorre imperturbabilmente.

Ad esso non importano i gozzovigli, le corse esasperate ad improbabili acquisti, le tavolate del tanto e troppo, i regali forzati,  le immancabili liste dei buoni propositi che si dissolvono nell’interminabile gennaio.

Esso scorre e basta.

E ti mostra, per l’ennesima volta, che allo stesso modo scivola via il tempo.

Sono quattro anni ormai che ho scelto volontariamente di non festeggiare più.

Questo mi porta inevitabilmente ad una solitudine che, vi confesso, mi piace.

E` un po’ come sedersi comodamente in poltrona e osservare, da dietro una pulitissima vetrata, il mondo là fuori mentre si cruccia per non essere riuscito ancora a trovare il regalo per la collega; per non aver ancora comprato i piatti nuovi col vischio dipinto sul bordino; per non aver ancora messo dovutamente a soqquadro la sala in vista del cenone; per non aver provveduto a rimpinzare a sufficienza la dispensa già straripante; per aver dimenticato di prenotare il vassoione di agnolotti del plin; per non aver ancora attaccato quelle lucine là che avevamo preso da Tiger, ricordi?

Ognuno sceglie come vivere e io ho scelto di estraniarmi da tutto questo bailamme perché a un certo punto io non ci ho più trovato un senso.

Questo periodo dell’anno diventa, per me, periodo di silenzio in cui ogni giro per la città si trasforma in questa osservazione ovattata da dietro l’immaginaria, ma percepita, vetrata.

E quest’anno, ad acuire il senso di silenzio e inusuale contemplazione, ha contribuito la malattia che ha bersagliato me, la mia dolce metà e certamente tantissime altre persone. Nulla di grave, se non un semplice malanno stagionale che però ha ulteriormente rallentato i già calmi ritmi.

Mentre il 31 dicembre volgeva alla fine e fuori il frastuono celebrativo raggiungeva i suoi culmini sonori, in casa mia il silenzio, la malattia scandita da colpi di tosse, ma al tempo stesso anche un senso composto di pace.

Ho preso in mano un pezzo di carta e con una 筆ペン fudepen giapponese Sakura (un apprezzatissimo regalo autunnale ricevuto da mia sorella e mio cognato) ho tracciato alcuni semplici hiragana scrivendo l`Akemashite omedetou gozaimasu con cui i giapponesi accolgono il nuovo anno.

A riscaldarci il cuore e lo stomaco, rinfrancanti scodelle fumanti di zuppa di miso che ogni giorno sono ospiti nella mia cucina e sulla nostra tavola.

Scodella di zuppa di miso

Quella irrinunciabile eleganza.

Ho riscoperto così una coppia di preziose scodelle laccate per zuppa di miso, dono della mia cara Akiko.

Sono un tributo alla bellezza di un travolgente fiore invernale a cui non si può non associare il fascino dell’antico Giappone: 椿 tsubaki ovvero la camelia.

Shiromiso fresco e stemperato dolcemente in un brodo dashi ove al suo interno danzavano, al ritmo di un effervescente sobbollimento, patate e cavolo nero.

Shiromiso fresco e stemperato dolcemente in un brodo dashi ove al suo interno danzavano, al ritmo di un effervescente sobbollimento, patate e cavolo nero.

Zuppa di miso

Zuppa di miso: uno scrigno di benessere.

Qualche cubetto di tofu fresco e i sapori veri del Giappone si materializzano in un istante.

Zuppa di miso

O-misoshiru.

L’inverno è la mia stagione perché io sono nata in inverno. Non posso certamente ricordare il giorno della mia nascita (forse ci riusciva Kochan di Mishima o Mishima stesso, chissà) ma ricordo le nevicate a cui assistevo da bambina e come quella neve si trasformasse in un materiale da gioco dalle mille possibilità.

Assaporo il silenzio nel frastuono preparandomi una tazza di buon tè nero di Ceylon e permettendo alle mie dita, molto lentamente, di sfogliare nuovamente le pagine di un libro che non è solo un libro, ma il vero fil rouge – sottilissimo eppur robusto – che mi ha tenuta saldamente legata al Giappone anche nei momenti più tetri: le poesie di Kaneko Misuzu.

Conoscete questa poetessa?

Riflessioni con Kaneko Misuzu

Un tè nero di Ceylon e le innocenti parole di Kaneko Misuzu.

Date un’occhiata qui.

Mi sono aggrappata tante, tante, tante, tante volte alle sue parole e ai suoi kana scelti con meticolosa cura e sincerità. Ad essi mi aggrappavo nei momenti più bui della mia vita quando ho vissuto sulla mia pelle l’acredine dell’abbandono e la desolazione della solitudine non cercata.

Senza saperlo, forse, mi aggrappavo alle sue parole come lei stessa si aggrappava ai suoi propri pensieri poetici nel tentativo di trovare conforto. Un conforto, però, svanito purtroppo per sempre in preda alla disperazione che l’ha condotta a porre fine alla sua vita dopo aver fatto un bagno alla sua bambina e aver con lei assaporato un ultimo sakuramochi.

Ma dalla disperazione mia di allora sono rinata e l’acqua del fiume di allora non esiste più.

Mi rattristo per Misuzu e per la distanza geografica e temporale che non ha reso possibile un nostro incontro.

Solo attraverso le sue parole e i miei occhi che le leggevano con lealtà è avvenuta una sorta di rassicurante convergenza.

Nuova acqua scorre imperturbabilmente e con essa il tempo ma anche la rinvigorente forza di andare avanti perché grazie a Dio sono ancora qui. E anche voi.

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