In questi ultimi anni si è iniziato a parlare molto dell’antichissima tecnica giapponese del kintsugi 金継ぎ fino a farlo diventare, quasi, una sorta di moda.
Non me ne sono mai occupata, in effetti, proprio per questa ragione. Rifuggo dalle cose di tendenza. Insomma, è già stato scritto e detto tanto a riguardo. E come spesso accade, poi, ad elementi estrapolati da culture ed innalzati ad una dimensione di pseudo-sacralità, il tutto assume contorni nauseabondi. E inevitabilmente ci si allontana dal senso originale.
A tal proposito, mi ritorna alla mente un fatto emblematico: considerando che il kintsugi interviene su vasellame rotto non intenzionalmente, qualche anno fa, nel bel mezzo di questa nuova fissazione, venni a sapere di gente che acquistava servizi da tè, li prendeva a martellate e poi li portava all’esperto di kintsugi del momento.
Ecco, venuta a conoscenza di questo ennesimo e volgare risvolto comico-parossistico, decisi di non toccare l’argomento.
Fino al giorno 6 novembre 2021.
Arte giapponese in una cornice libera

Tramite la mia cara amica Rita sono venuta a conoscenza delle iniziative della signora Zushi Aiko 圖子愛子, esperta e insegnante di questa tecnica, qui a Torino.
Nello specifico, sono venuta a sapere di una sua mostra, completamente libera e accessibile a chiunque, in una cornice altrettanto libera e pulsante: il quartiere Campidoglio a Torino che, non a caso, ospita il museo d’arte urbana nonché pinnacolo dell’arte aperta a tutti poiché senza confini.
In alto, la locandina dell’evento presentata con un accurato gioco di luci e ombre.
Aiko-sensei ci ha accolte calorosamente. Mi sono naturalmente presentata in giapponese e in questa lingua ho scambiato con lei qualche parola accompagnata dagli inchini di rito.
Non appena varcata la soglia del suo atelier, eccolo lì.
Quel qualcosa nell’aria che inconfondibilmente sa di Giappone. Non riesco a descrivere questa nota olfattiva che io capto quasi istintivamente quando mi ritrovo a contatto con persone e cose giapponesi. E’ un odore unico, lievemente dolciastro e con rimandi debolmente mucidi. Esso permea qualsiasi cosa laggiù.
E’ l’incontro tra la perenne umidità che penetra ogni superficie e l’aroma del tatami.
Cos’è il kintsugi?
Ho scattato in atelier tutte le foto dell’articolo che vedete. Esse mostrano alcuni dei lavori più preziosi della sensei.
Da completa inesperta in materia, vi riporto la mia traduzione della descrizione introduttiva di Aiko-sensei.
“Il Kintsugi 金継ぎ è una tecnica tradizionale giapponese per la riparazione di ceramiche e vasellame rotto, fratturato o scheggiato. Per fare ciò, si usa l’urushi 漆, una resina naturale estratta dall’albero della lacca.

E’ da circa undicimila anni che i giapponesi riparano il vasellame in questo modo. Alla tecnica del kintsugi fu riconosciuto valore artistico nel periodo Muromachi (tra il quattordicesimo e sedicesimo secolo d.C.) quando, grazie all’influsso della cerimonia del tè, le persone iniziarono ad apprezzare anche ceramiche riparate.
Nel tempo, il Giappone coltivò sempre più l’idea dell’esaltazione di difetti, ad esempio crepe o scheggiature, visti come pregi nonché caratteristiche uniche e distintive di ogni singolo oggetto.
Il vero fascino del Kintsugi risiede non solo nella ritrovata bellezza di un oggetto riparato ma anche nella restaurazione del suo utilizzo originale quotidiano attraverso l’uso dell’urushi, un tradizionale materiale innocuo.”
Aiko-sensei incoraggia chiunque ad avvicinarsi a quest’arte dicendo che ” attraverso il Kintsugi vorrei trasmettervi la ricchezza e lo splendore di utilizzare ancora a lungo oggetti amati e preziosi”.
Passaggi importanti
Il kintsugi si può applicare anche al vasellame dedicato al consumo di cibi e bevande. Innanzitutto, si prepara il mugi-urushi 麦漆mescolando resina urushi alla farina e si applica il composto alle crepe.
Le parti scheggiate più visibili vanno riempite con il kokuso-urushi 木屎漆, un composto a base di resina urushi, polvere di legno, polvere di cotone e pasta di riso.
Le parti scheggiate meno visibili, invece, vanno riempite con il sabi-urushi 錆漆che si prepara unendo la resina urushi alla polvere di pietra.
Ad asciugatura avvenuta, si fa una levigatura e poi si applica l’urushi colorato. A questo punto si passa alla polvere d’oro e si utilizza la resina urushi per creare un rivestimento finale seguito da un’ulteriore levigatura che concluderà il tutto.
