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Nagisa e limpide sorgenti

Tempo fa m’inventai un angolo chiamato Saggezze di un Himekuri. L’ispirazione arrivò da un calendario che mi aveva regalato Akiko e sulle cui pagine sono riportati proverbi e detti giapponesi. Pensai così di sceglierne alcuni, tradurli e riportarli qui assieme, magari, a qualche riflessione.

Lo spazio delle saggezze di un Himekuri ha accolto alcuni di questi detti come ad esempio qui. Oppure qua. Ma anche qui.

Il famoso himekuri, fonte d’ispirazione

Trovo la maniera, in qualche modo, d’intrecciare fili apparentemente scompagnati. Un po’ come i patchwork che vedevo realizzare dalle donne mormone nello Utah, in quel luogo immerso nella consuetudine della fede e circondato da aspre montagne. Ognuno di essi era un insieme di pezzi di tessuto di varia origine e con storie diverse, tutti tenuti insieme da una cucitura armonizzante di un filo solidale.

Limpide sorgenti

Acque eridane come accompagnamento del kotowaza di oggi

Passeggiavo una sera di dicembre lungo il mio amatissimo Po. Era una delle numerose passeggiate che faccio in solitaria, in compagnia solo dei miei pensieri. Ogni tanto mi fermavo ad ammirare un punto della città che mi comunicava qualcosa e mentalmente abbozzavo descrizioni o qualche audace verso poetico.

Mi sono soffermata più volte a rimirare le avvolgenti gradazioni cremisi del fogliame dei salici e degli olmi che adornano le sponde dell’antico fiume trovando in quelle calde sfumature le stesse nuance della lacerante malinconia per il Giappone.

Da uno dei parapetti di pietra luccicante, le acque eridane erano uno specchio blu cobalto che accoglievano i riflessi dei rami spogli degli alberi.

E quelle acque scorrevano, rinnovandosi continuamente in un moto lento ma inarrestabile.

Ho voluto, quindi, abbinare questa immagine ad un kotowaza del calendario:

源清ければ流れ清し
Minamoto kiyokereba nagare kiyoshi

Traduzione libera
Se la sorgente è limpida, anche il ruscello lo sarà.

Solo un cuore e un animo puliti possono dare vita ad azioni altrettanto limpide. E in questi mesi di disincanto educatore, il grado di purezza delle sorgenti è diventato il metro di valutazione di molte cose. Almeno, nella mia vita.

Ma intreccio i fili di questo kotowaza con quelli di Nagisa

I racconti dell’incenso

Ero seduta sul letto, immersa nel buio. Respiravo la fragranza delle quiete notturna che, in certi momenti, pur nel cuore della città sembra sfoggiare un’incorruttibilità fugace.

Nell’aria volteggiava ancora qualche strascico invisibile dei fiocchi di fumo di un classico incenso giapponese: il 毎日香 Mainichikoh, al pino.

Un bastoncino di Mainichikoh al pino brucia lentamente…

L’incenso è un cantore perché racconta, con la propria voce, luoghi e sensazioni. L’incenso va ascoltato perché esso distilla la sua propria visione del mondo e la trasmette tramite i suoi ricami di fumo che si librano nell’aria per poi finire chissà dove.

Questo Mainichikoh racconta di folti pinete e rigogliosi boschetti dove i raggi del sole s’intrecciano con ondeggianti strisce di oscurità lacrimanti di rugiada. Ho chiuso gli occhi e quel racconto fragrante mi ha riportata a passeggiare nel bosco del Meiji-jingu, a due passi dalla vecchia stazione di Harajuku.

Ho riaperto gli occhi e ho cercato qualcosa da leggere o da vedere.

La luce fredda del tablet ha squarciato l’oscurità in cui ero immersa. Una ricerca fatta senza pensarci molto mi ha regalato una perla cinematografica rivelatosi il miglior completamento del momento di contemplazione di allora e di adesso.

Nagisa

NAGISA, cortometraggio del 2019. Immagine di proprietà della Prefettura di Okinawa.

Nagisa è uno straordinario cortometraggio del 2019 del regista Toshiyuki Teruya, interamente girato ad Okinawa, nel villaggio di Onna.

La protagonista, Megumi (che in giapponese significa benedizione), è una donna che, in seguito ad un evento doloroso, scappa dalla città e dal male di vivere e si rifugia nel villaggio di Onna, sull’isola di Okinawa. Megumi approda affranta e stanca sulla spiaggia dell’isola, proiettata verso l’idea del suicidio come soluzione.

Ma dalla struggente bellezza di Okinawa affiora una bambina, Nagisa (che in giapponese significa spiaggia, battigia). Una creatura purissima, col cuore candido e colmo di gioia e gratitudine per tutto: per la sua mamma che le vuole bene e le prepara sempre il suo piatto preferito, l’omuraisu; per i suoi amici sull’isola; per le tante e piccole cose della sua raggiante esistenza.

Nagisa, nella sua innocenza cristallina, coglie il malessere di Megumi e cerca di medicare le sue ferite attraverso il potere della gentilezza e della dolcezza. Non sarà semplice perché Megumi ha la mente offuscata dai suoi abissi, dai suoi fantasmi e questo obnubilamento la porta a perdere la gratitudine e la consapevolezza dell’essere adesso.

La bambina è orgogliosa dei suoi amici, tutti anziani dell’isola, di cui lei conosce la vita, abitudini e peculiarità. E la sua spontanea gentilezza è il balsamo medicinale con cui allieta la vecchiaia di queste persone.

Non scriverò altro perché vi invito ad assaporare questa magnifica gemma cinematografica che potrete guardare qui. Saprà trasportarvi in una dimensione quasi onirica, illuminata dapprima dall’abbagliante sole cocente di Okinawa e poi imbevuto delle tenebre della sera e della morte. Il tutto avvolto a tratti nel bagliore delle roventi sabbie bianchissime e del pianto pizzicato del sanshin.

Una storia in cui s’incontrano e s’intrecciano i temi della gratitudine profonda ed incondizionata; della fuga dalla vita verso la morte e il contrario; dell’innocenza…

…quell’innocente limpidezza della fonte che non può che dare origine ad azioni altrettanto trasparenti e di sublime immacolatezza.

Marianna


Datemaki

Due piatti osechi che avevo preparato lo scorso anno: datemaki e kōhaku namasu

C’è una parte della cucina giapponese chiamata おせち料理 osechi-ryōri a proposito di cui ho scritto tanto negli anni. L’osechi-ryōri è il repertorio dei piatti che si preparano per i festeggiamenti del Capodanno. Delizie speciali che si portano in tavola solo in occasione di questa ricorrenza.
Ogni piatto, accuratamente presentato, simboleggia qualcosa che si spera di ottenere nel nuovo anno.

I piatti dell’osechi vengono solitamente presentati in bellissimi contenitori (chiamati 重箱 juubako) laccati a più piani. Ogni piano, tradizionalmente, ospita determinati osechi quindi la disposizione non è casuale.

Un classico osechi presentato nel juubako. Illustrazione di イラストや

Nel Giappone contemporaneo ormai gli osechi non si preparano quasi più in casa, ad eccezione di qualche piatto semplice. E’ consuetudine, ormai, ordinarli da ristoranti, gastronomie o negozi di alimentari. Questo perché la preparazione è piuttosto laboriosa e alcuni ingredienti sono esclusivi dell’osechi quindi richiedono particolare attenzione anche nei tempi.

Quando abitavo in Giappone, però, ho voluto una volta tentare l’impresa di preparare un intero osechi casalingo. Qui potete trovare il mio racconto con le foto.

Un piatto osechi facile

Dopo quell’unica esperienza di osechi casalingo preparato quasi interamente da zero, non mi sono più cimentata in imprese simili. Da quando sono tornata in Italia, poi, mi limito a preparare solo uno o due piatti di osechi. Uno di questi, il datemaki, è facilissimo e anche piuttosto scenografico.
Naturalmente, potete gustare gli osechi quando volete e non solo a Capodanno.
Anche se, quando si parla di osechi, non riesco a non pensare alla mia cara amica Sakura che incredibilmente li detesta tutti e che quindi immagino che faccia farebbe se le proponessi di mangiarli anche in un altro momento dell’anno!

Vediamo insieme il procedimento per preparare uno dei miei piatti osechi preferito: il 伊達巻 datemaki.

Datemaki

Datemaki che ho preparato il 31 dicembre 2021.

Poiché tutti gli osechi rappresentano qualcosa di benaugurante e positivo per l’anno nuovo, anche il datemaki non fa eccezione. La sua forma, infatti, ricorda quella delle pergamene e per associazione di idee dunque dovrebbe rappresentare la conoscenza e l’erudizione. Nei tempi antichi, infatti, i giapponesi importavano abitualmente documenti, poesie, dipinti su pregiate carte arrotolate attraverso cui avveniva la trasmissione d’importanti saperi.
Includere qualche soffice fetta di datemaki nel proprio osechi, quindi, è un modo per sperare in nuovi saperi e in brillanti raggiungimenti accademici nel nuovo anno.

Illustrazione di un datemaki. Immagine di イラストや

Origini del nome

Il nome 伊達巻 datemaki avrebbe più origini, tutte riconducibili a varie teorie : l’aggettivo 伊達 date si riferisce a un qualcosa o qualcuno di elegante e sofisticato ma che potrebbe anche risultare sfacciato se vi è ostentazione. E’ un aggettivo adatto per descrivere qualcosa o qualcuno che salta all’occhio. Ebbene, il datemaki è una specie di omelette che salta all’occhio per il suo colore vivace e per la sua forma curiosa.
Alcuni farebbero risalire l’origine del termine ai 伊達者 datesha ovvero i dandy di un tempo, i giovanotti alla moda che appunto saltavano all’occhio per il proprio modo di abbigliarsi e di atteggiarsi. Ma 伊達巻 datemaki è anche il nome della cintura che si mette sotto l’obi nel kimono! Una cintura che va arrotolata su se stessa proprio come la nostra squisita omelette, insomma.

Il nostro ghiotto Date Masamune. Si narra inoltre che fosse anche un eccentrico rubacuori! Immagine di イラストや

Non poteva però mancare la teoria che profuma del mio amato periodo Edo. Si narra, infatti, di 伊達政宗 Date Masamune, un daimyō (signore feudale) vissuto tra il periodo Azuchi-Momoyama e il primo periodo Edo, durante l’epoca degli Stati belligeranti ossia di tanti piccoli feudi in lotta fra di loro.
Ebbene, pare che Date Masamune fosse molto goloso di un piatto del tempo che si chiamava 平卵焼き Hira-tamagoyaki, una sorta di frittata piatta a base di uova e surimi di cui ci fu poi una versione arrotolata nella stuoietta di bambù e rinominata inizialmente 伊達焼き dateyaki e poi 伊達巻: Date in onore del ghiotto daimyō e maki perché diventata involtino.

Datemaki o tamagoyaki?

A prima vista il datemaki potrebbe assomigliare al tamagoyaki, la famosa frittata giapponese avvolta, di cui trovate la ricetta QUI. Ma la somiglianza è solo apparente.

Il segreto sta naturalmente negli ingredienti. Tradizionalmente, il datemaki si prepara mescolando uova sbattute ad un ingrediente che si chiama はんぺん hanpen, una sorta di tortino bianco di pesce assimilabile alla famiglia del surimi. E’ questo abbinamento a creare la consistenza soffice caratteristica del delizioso datemaki.

Tuttavia, non riuscendo a trovare con facilità i panetti di hanpen, ho scoperto che esiste la possibilità di sostituirlo con del tofu! E il risultato è sorprendente.

Vediamo la ricetta e la preparazione.

Ricetta

Ingredienti per un datemaki

200g di tofu sgocciolato
2 uova
zucchero 30g (aumentate o diminuite in base ai vostri gusti. Il datemaki è piuttosto dolce!)
1 pizzico di sale
2 o 3 gocce di salsa di soia

Gli ingredienti per un buon datemaki
  1. Sgocciolare bene il tofu. Consiglio di avvolgerlo in un foglio di carta da cucina e di metterlo a scolare posizionandovi sopra un peso. In questo modo perderà molto del suo liquido. Sarà sufficiente aspettare un quarto d’ora, venti minuti.
  2. Nella coppa di un frullatore o di un mixer ad immersione versare il tofu sgocciolato a pezzi, le uova, il sale, lo zucchero e la salsa di soia. Mescolare il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo, cremoso e soffice.
Passaggi per la preparazione del datemaki

3. Ungere una padella. Io ne ho usata una rettangolare da tamagoyaki ma non è indispensabile. Potete usare una padella qualunque purché antiaderente.
4. Versarvi il composto cercando di livellarlo in superficie. Coprire la padella con un foglio di carta alluminio e lasciar cuocere a fuoco medio-basso per circa un quarto d’ora.

Passaggi finali nella preparazione del datemaki.

5. Trascorso il quarto d’ora, alzando il foglio di carta alluminio noterete che il soffice composto sarà quasi cotto. Con molta attenzione, aiutandovi con una paletta, giratelo dall’altra parte e lasciatelo cuocere per altri 5 o 6 minuti, sempre coperto.
6. Trasferite la vostra omelette sopra una stuoietta di bambù (rivestita di un pezzo di pellicola per alimenti) e delicatamente iniziate ad arrotolarla senza usare forza eccessiva. Dovrete, però, al contempo cercare di arrotolare per bene affinché il datemaki aderisca su se stesso.
7. Chiudere la stuoietta fissandola con un elastico. Lasciare a riposo per un quarto d’ora o venti minuti dopodiché scartare e affettare delicatamente il datemaki.

Un gustoso datemaki pronto da affettare!
Dedicato a Date Masamune!

Alla prossima ricetta. いただきます。Itadakimasu.

L’innocente malinconia di Kaneko Misuzu

La poetessa Kaneko Misuzu

In questo primo mio scritto del 2022, vorrei dedicare un pensiero ad una preziosa figura del panorama letterario femminile giapponese: 金子みすゞ Kaneko Misuzu. Di lei vi diedi un accenno qualche anno fa, proprio QUI.

Sono molto legata a questa poetessa perché una delle sue raccolte di poesie mi ha accompagnata in alcuni dei momenti più bui della mia vita. Fu la mia cara amica Akiko a regalarmi questo libro senza sapere che sarebbe stato per me àncora e conforto. E lo è ancora. Anzi, forse ora più che mai.

Kaneko Misuzu (nome d’arte di Kaneko Teru) nacque nel 1903 nella Prefettura di Yamaguchi, regione nella zona sud-est del Giappone. Nacque in un paesino di pescatori di sardine che, non è un caso, avrebbe ispirato molti suoi componimenti poetici.

Vita breve e dolorosa

La vita della poetessa fu breve e traboccante di dolore. Costretta ad un matrimonio combinato dallo zio con un collaboratore nell’attività di famiglia, Misuzu iniziò la sua vita coniugale all’insegna dell’infelicità. Dal matrimonio nacque una bambina di nome Fusae (proprio come la cara signora Fusae che porto sempre nel cuore!). Tuttavia, poco tempo dopo Misuzu scoprì di aver contratto una malattia venerea trasmessale dal marito, assiduo frequentatore dei cosiddetti quartieri del piacere. Il grande patimento fisico si sommò all’insostenibile e tesissimo rapporto col marito e il tutto sfociò in un’agguerrita battaglia legale per la custodia della bambina. La legge giapponese del tempo, infatti, in caso di divorzio garantiva l’affidamento dei figli ai padri.

Per Misuzu tutto questo era semplicemente inaccettabile oltre che indescrivibilmente straziante.

Non potendo sopportare l’idea di questa ingiusta decisione, la giovane poetessa decise di togliersi la vita. Si cita spesso il triste epilogo che così si svolse: il giorno prima dell’affido ufficiale della bambina al padre, Misuzu fece un bagno alla piccola Fusae dopodiché insieme mangiarono un 桜もち sakuramochi. I sakuramochi sono tradizionali dolci morbidi di primavera avvolti in foglie di ciliegio in salamoia.
Qui ne vedete alcuni in una mia foto scattata nella mia cucina di Sagamihara:

I sakuramochi che avevo ricevuto in dono da Ishii-san

Dopo questo struggente e ultimo momento insieme alla sua bambina amata, Misuzu scrisse una lettera al marito chiedendogli di affidare la piccola alle cure della nonna materna poiché non poteva accettare che fosse lui a crescerla.

L’ex marito rispettò le sue volontà e acconsentì affinché l’affido passasse a sua suocera.

Misuzu morì a poca distanza dal suo ventisettesimo compleanno.

Il mio amatissimo みすゞさんぽ Misuzu-sanpo

Le passeggiate di Misuzu

Il giorno prima di lasciare il Giappone, incontrai Akiko in una caffetteria rumorosa e dove le luci sembravano troppo invadenti. O forse erano i miei occhi che, affaticati dalle lacrime già versate, non tolleravano più alcun affronto.

Fu quel giorno che Akiko mi portò questo libro in dono: みすゞさんぽ Misuzu-sanpo (Le passeggiate di Misuzu), una delle raccolte di poesie di Kaneko Misuzu.

Non conoscevo ancora questa straordinaria poetessa né il suo messaggio. Mi stupirono le illustrazioni che accompagnano ogni singola poesia: animali e semplici oggetti di vita quotidiana, tutti realizzati in plastilina. Tutti elementi che erano parte della quotidianità di Misuzu e che di conseguenza popolavano le sue poesie. Gatti, lombrichi, passerotti, gabbiani, sardine, sgabelli, rose, sapone da bucato, castagne, palline di seta e altri piccoli giochini.
Qualcosa di quelle immagini e di quei componimenti puliti mi trasmetteva un senso di innocente malinconia. E senza saperlo, avrei poi scoperto che è proprio quella l’essenza della poetica di Misuzu.

Un animo innocente che nella sua breve vita colma di dolore seppe aggrapparsi alle piccole cose intorno a sé per ritrovare in esse conforto e ristoro.

Kaneko Misuzu e le sue opere finirono in un dimenticatoio letterario dove vi rimasero per lunghissimo tempo. Fino al 1982, per l’esattezza, quando riaffiorò una sua poesia diventata poi famosissima: 私と小鳥と鈴と (watashi to kotori to suzu to – Io, gli uccellini e le campane). La poesia è a pagina 70 di Misuzu-sanpo.

Lo studioso Luca Cenisi riporta sul suo sito tutta la poesia nella versione originale giapponese di cui fornisce una traslitterazione in caratteri latini più una bellissima traduzione in italiano. Ecco QUI.

La mia passeggiata con Misuzu

L’ultimo giorno di questo travagliato e sconvolgente 2021 sono andata a fare una passeggiata in solitaria lungo il Po. Ho camminato lentamente assaporando ogni istante. Mi sono lasciata cullare dal suono delle mie scarpe che calpestavano spessi strati di foglie secche. Con lo sguardo ho accarezzato la superficie iridescente del fiume su cui si specchiava un sole paglierino. Mi sono fermata ad osservare la fauna che popola le rive del vecchio fiume e mi è sembrato d’intravedere un’armonia tra gli animali che vorrei ci fosse anche tra gli esseri umani.

Sono passata vicino ad una storica colonia felina che da decenni è presente ai bordi del fiume. E ho aspettato, anche questa volta, di vedere uno dei gatti che lì abitano. E ne ho visto uno: un grosso gatto nero che, seduto, sembrava contemplare il moto calmo di quelle acque.

Intorno a me tante persone a spasso, ognuna immersa in un’imperscrutabile bolla di pensieri. Pensieri in movimento e tutti inanellati in forme complesse come le linee iridate sulla superficie cangiante di una bolla di sapone.

Nel mio cappotto blu con in testa il mio sgualcito ma amato berretto nero, passeggiavo respirando quell’aria fluviale che mi accompagna dal giorno in cui venni al mondo qui nella mia straordinaria Torino. E tra le mani, la raccolta di poesie di Kaneko Misuzu. Volevo che le sue parole mi facessero compagnia in quella mia solitaria passeggiata tra gli spogli alberi di ginkgo e le mie lacrime di malinconia e stanchezza.

マリさんぽ Mari-sanpo. La mia passeggiata.

Arrivata alla Passerella Chiaves, un piccolo ponte pedonale che collega la “mia” riva a quella già ai piedi della signorile precollina, mi sono fermata ad osservare il dipinto vero davanti ai miei occhi: il lungo e antico Po dolcemente indorato da quei raggi deboli ma caparbi e sullo sfondo i primi accenni di collina ammantata nei suoi colori distintamente torinesi.

Quante volte sono passata lì fermandomi sempre ad ammirare quel delicato scorcio di città. Ho percorso quel piccolo ponte con tante gradazioni di sentimento nel cuore: dalla felicità esultante alla tristezza più amara. Ma ogni volta l’effetto quasi ipnotico del Po che imperturbabilmente lambisce le sue rive catturava i miei occhi.

Dalla Passerella ho scattato una foto guardando il cielo e pensando a Misuzu. E su quella foto ho copiato una sua poesia di cui vi riporto la versione traslitterata in caratteri latini e la mia traduzione in italiano.

Il colore del cielo

Poesia di Kaneko Misuzu con il Po e la precollina torinese sullo sfondo.

Sora no iro

Umi wa, umi wa, naze aoi

sore wa osora ga utsuru kara

sora no kumotteiru toki wa

umi mo kumottemieru mono

yuuyake, yuuyake, naze akai

sore wa yuuhi ga akai kara

dakedo ohiru no ohisama wa,

aokanai noni, naze aoi

sora wa, sora wa, naze aoi.

(traduzione mia)

Il colore del cielo

Il mare, il mare, perché è blu?

Perché il cielo vi si specchia

Quando il cielo è nuvoloso

anche il mare lo è

il tramonto, il tramonto, perché è rosso?

Perché lo è il sole del crepuscolo

Ma il sole del mezzodì

non è blu

Perché è blu?

Il cielo, il cielo, perché è blu?

Non cessate mai di farvi domande perché è in esse il propulsore alla vita, il combustibile che saprà far ardere la fiammella della curiosità e del sapere. E tutte le domande sono lecite. Ora più che mai.

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