Inforco gli occhiali della reminiscenza e vedo immagini di fragranti riverberi che si sovrappongono. Vedo, infatti, gli ultimi bagliori di quella mia breve e personalissima estate in compagnia di Aki e Toretto.

L’ultima.

Ritornano i ricordi di quel caduco momento con la prepotenza distintiva della malinconia che, in certi momenti, ti afferra per la gola e ti costringe a un pianto faticoso.

Era la sera del 24 ottobre quando, all’improvviso, è morto il gatto.

Non era il mio gatto ma è come se lo fosse stato. Il dolore che ho provato – e che provo tuttora – è tagliente e curiosamente infingardo: quando sembra affievolirsi ecco che ritorna con più spietatezza di prima.

La vita prosegue e dunque si va avanti. Si perdono persone, animali e cose. È inevitabile.

Mi torna in mente la fiaba di Pollicino che mi raccontava mia nonna la sera, nella sua casa di allora, sulla collina torinese. Ripenso alle briciole di pane che quel bambino lasciava dietro sé nel bosco che poi venivano mangiate dagli uccelli. E in quelle briciole mi sembra di rivedere tutte le persone, gli animali e le cose che ho perso nella mia vita.

Non posso tornare indietro e – anche se potessi – non le ritroverei più.

I don’t know a soul who’s not been battered – cantava il magnifico Paul Simon nella sua commovente American Tune che sento intimamente mia.

E allora queste persone, questi animali e queste cose continueranno ad esserci nel ricordo, nella mia rimembranza leopardiana in cui il dolore si stempera in una stilla di nostalgia.

Hibi

Settembre, ottobre e novembre sono scivolati via, un giorno fugace dopo l’altro. Una quotidianità scandita dai miei impegni di lavoro e di studio i cui ritmi sembrano quasi aver compresso il tempo.

Non so dove siano finiti quei giorni. In quale angolo sono raggomitolate le ore? Su quale tetto si saranno posati i minuti? Forse c’è un cassetto dove sono riposti ritagli di tempo passato, assieme a spolette di filo colorato e forbicine?

Desideravo scrivere del gatto nel tentativo – forse un po’ goffo – di vederlo e poter fantasticare di giocarci ancora. Ma le parole non mi venivano e ancora non riescono a trovare la strada per emergere dai miei abissi.

Le lacrime trovano la strada senza difficoltà ma le parole no. Forse restano imbrigliate nelle sapide scie di quelle lacrime che scorrono con facilità.

E una sera di novembre è arrivato il regalo di Daniela.

Daniela, cara amica che ha seguito con entusiasmo il mio corso di giapponese, mi ha voluto ringraziare così:

Incenso Hibi

Una preziosissima scatolina di incenso Hibi. Si tratta di un prodotto molto speciale: il frutto dell’unione tra apertura e tradizione.
Non è infatti un incenso come ce lo si aspetterebbe (ripenso ai miei Profumi di Edo).

Sono fiammiferi d’incenso.

Fiammiferi d’incenso

Questi incensi provengono dalla Prefettura di Hyōgo, nel Kansai, nel Giappone occidentale. I fiammiferi furono introdotti in Giappone all’inizio dell’epoca Meiji e fu proprio a Hyōgo, specialmente ad Harima, che la loro produzione trovò la massima espressione qualitativa. Le manifatture di fiammiferi di questa zona divennero infatti i maggiori produttori ed esportatori grazie anche alla vicinanza con la città portuale di Kobe.

Ma dov’è il nesso tra incenso e fiammiferi, oltre al fatto di avere bisogno della combustione per poter vivere?

Sempre nella Prefettura di Hyōgo c’è l’isola di Awaji, conosciuta per essere il luogo di nascita dell’incenso giapponese.

E così alcuni anni fa, dalla sensibilità giapponese che mira sempre a suggellare passato e presente con legami nuovi, è nata l’idea di coniugare queste due industrie tradizionali del territorio.

È nato in questo modo l’incenso Hibi.

Il suo nome significa ogni giorno, giorno dopo giorno. Il suo logo – che ricorda una finestra da cui forse entrano i raggi di un timido sole invernale – in realtà è la parola stessa scritta in kanji: 日日 ひび.

Dieci minuti con Hibi

Daniela mi ha mandato una scatolina di Hibi alla fragranza elegante ed evocativa del legno di sandalo.

Ogni fiammifero arde per circa dieci minuti regalando così una breve momento di fragrante contemplazione.

Hibi

La confezione, in cartoncino delicatamente ruvido, è divisa in due parti: la prima scatolina contenente di fiammiferi d’incenso e la seconda che all’interno custodisce un tappetino ignifugo su cui si dovrà poggiare l’incenso mentre brucia.

Incenso Hibi: fragranti fiammiferi che rappresentano passato e presente.

La scatolina contiene anche le semplici istruzioni in giapponese e inglese per poter accedere a questo momento profumato.

Anche il foglietto delle istruzioni è impregnato della fragranza preziosa del sandalo.

Con delicatezza, è sufficiente sfregare il fiammifero sull’apposita striscia collocata su un lato della scatolina per poter dare avvio alla magia.

Dieci minuti di fragranza

Ho realizzato un breve video per condividere con voi parte dell’emozione provata nell’accedere nel microcosmo profumato di Hibi:

Fili di fumo profumati che si librano in aria…
Per il primo brano suonato allo shamisen ringrazio Itō Keisuke 伊藤ケイスケ;
Per il secondo brano invece ringrazio MFP

Attraverso i nastri di fumo d’incenso anche le parole prigioniere trovano comunque una strada.

Dalla mia biblioteca giapponese

La mia piccola biblioteca giapponese personale sta lentamente crescendo. Ne ho parlato tanto in questi anni perché è frutto di una volontà di ricostruire, di ritrovare, di rimettere in piedi. La mia è una collezione di libri in giapponese che rinasce dalle ceneri della mia prima collezione, andata perduta in circostanze strazianti.

Ed è da quel dolore che è rinata questa biblioteca a cui vorrei dare un nome. Ci sto pensando.

Si sono aggiunti alcuni volumi ultimamente.

Alla già nutrita sezione Cucina si sono uniti questi due deliziosi ricettari:

Le ultime due aggiunte alla sezione Cucina della mia biblioteca giapponese

Sono due libricini deliziosi che ho acquistato da Paola, una ragazza di Guidonia. Le avevano fatto compagnia per un lungo tratto del suo percorso di studio del giapponese ma da essi aveva poi deciso di separarsi. E sono arrivati a me, seguendo la strada del destino.
Il libro in primo piano è un ricettario dedicato agli obentō per bambini, quindi un vero manuale che spiega per filo e per segno come realizzare dei bentō indimenticabili per i più piccoli.
Il secondo volume dietro, invece, è un classico manuale che spiega pazientemente le basi della cucina presentando prevalentemente piatti giapponesi sia washoku sia yōshoku.

Qualche tempo fa, invece, tramite le mie nippo-esplorazioni su Instagram, sono venuta a conoscenza di una preziosa libreria a Lucca che si chiama Etta’s Bookshop. La libreria è specializzata in libri in lingua inglese ma vanta inaspettatamente anche un angolo di libri in giapponese di seconda mano.

La distanza geografica tra Torino e Lucca non ha minimamente minato la mia curiosità. Ho infatti preso subito contatto con proprietaria, Giulia, persona gentile e altamente competente, la quale nel giro di poco tempo mi ha inviato tantissime foto di tutti i titoli giapponesi presenti in negozio.

Non è stato semplice decidere ma alla fine ho scelto quattro titoli.

I quattro libri mi sono arrivati accompagnati dalla graziosissima sporta di tela di Etta’s Bookshop che mi ha regalato Giulia:

Ed ecco i titoli:

I miei libri giapponesi acquistati da Etta’s Bookshop di Lucca.

Questi quattro libri sono opera di tre autrici giapponesi che non conoscevo.
Dall’alto a sinistra in senso orario:
「食べものだけで余命3か月のガンが消えた」(Tabemono dakede yomei sankagetsu no gan ga kieta) di Takato Tomoko. Un libro in cui l’autrice racconta di come, attraverso una forma di alimentazione molto particolare, sia riuscita a guarire dal cancro. È un libro che ha generato molta polemica da quel che leggo, data la natura delicata dell’argomento che tratta.

「暖簾」e 「花のれん」(Noren e Hana-noren) di Yamasaki Toyoko, giornalista d’inchiesta e scrittrice originaria di Ōsaka che spesso si ispirava a fatti realmente accaduti per i suoi libri, raccontando molto della società dell’epoca Shōwa. Ad esempio, per il suo primo romanzo – Noren – del 1957 in cui racconta le vicende della famiglia di un commerciante di alghe, l’autrice si ispirò alla propria famiglia. Nel 1965 pubblicò 「白い巨塔」(Shiroi kyotō) La torre bianca, in cui si narra un’intricata vicenda di avidità, potere e corruzione all’interno di un grande ospedale di Ōsaka. L’opera riscosse enorme successo ma generò anche tanta indignazione nel pubblico.

L’ultimo libro è 「白蓮れんれん」(Byakuren renren) dell’acclamata Hayashi Mariko, scrittrice prolifica che in questo romanzo racconta la storia di Yanagiwara Byakuren, poetessa di epoca Meiji / Taishō, cugina dell’imperatore, che rimane coinvolta in una storia amorosa con un socialista destando scandalo e sdegno nella società del tempo.

Dicembre

Dicembre è ormai qui da poco più di una settimana e anche lui sembra dissolversi alla velocità con cui viaggia il tempo dopo una certa età.
L’aria è fredda. Le decorazioni natalizie e tutta la cornice di contorno ormai sono ovunque. Luci che, osservate dall’oscurità, suscitano un senso transitorio di sorpresa che però presto svanisce.