Il caso del masu 升 è l’ennesima prova di una giapponesità che ritrovo e che mi insegue.
Premettendo che questo non è un post sponsorizzato o incoraggiato da alcuno se non da me stessa, vi chiedo: sapete cos’è un masu 升? E conoscete il Negozio Leggero?
Partiamo dalla seconda domanda per poi arrivare alla prima, seguendo insomma un po’ il percorso che caratterizza da sempre la mia vita: cominciare dalla fine per arrivare all’inizio, arrivare ad un’estremità opposta per ricongiungerla all’altra chiudendo quindi il cerchio.
Il Negozio Leggero è un marchio di negozi specializzati nella vendita di alimentari, cosmetici, prodotti per la casa, il tutto però sfuso, quindi senza imballaggio. E’ il frutto di una crescente consapevolezza nei confronti della salvaguardia dell’ambiente che si può esprimere anche attraverso misure di riduzione degli imballaggi nonché grandi contributori dell’inquinamento.
Il loro motto è “la spesa alla spina” che in effetti racchiude proprio il loro pensiero fondante: fare la spesa acquistando i beni sfusi, senza buste, pacchetti, contenitori ecc. Si scelgono quali prodotti acquistare e i commessi, con precisione, misurano il prodotto desiderato seguendo la quantità richiesta dal cliente.
Questi prodotti vengono imbustati in sacchetti di carta riciclata oppure, nel caso ad esempio di saponette, avvolte in fogli sempre di carta ecologica. Sui prodotti come ad esempio shampoo, balsami, profumi per l’ambiente, detersivi, ecc. vi è il vuoto a rendere sui contenitori di vetro oppure uno sconto sui flaconi di plastica che, se non ricordo male, si possono riportare in negozio affinché vengano riempiti nuovamente.
Hanno punti vendita presenti un po’ su tutta la Penisola, anche se per adesso la concentrazione maggiore sembra interessare il Piemonte (solo a Torino i punti vendita sono tantissimi!), Milano e provincia, Roma, Palermo e Lugano.
Alcuni giorni fa, mentre pigramente e forse un po’ roboticamente, scorrevo le notizie sul famoso social con la F, mi sono risvegliata improvvisamente dal torpore caratteristico di quella modalità automatica e quasi passiva che mi sorprendo ad assumere nel far scorrere col dito la valanga di informazioni proposte, a fiumi; la pagina ufficiale del Negozio Leggero mi informava che erano in vendita i masu giapponesi.
Ho spalancato gli occhi, scrollandomi di dosso in un sol colpo così tutti i batuffoli di stanchezza e svogliatezza che mi facevano compagnia, mio malgrado.
Credevo di aver letto male, ma avevo invece inteso benissimo.
Un punto vendita del Negozio Leggero è a pochi passi da casa mia.
Sorpresa all’idea di un masu ad una strada di distanza dal mio portone, non ho perso tempo.
Cappotto, guanti, berretto caldo, scarponcini e via. Giù in strada a percorrere quei metri anonimi ma familiari verso un luogo che, chissà poi perché, custodiva una traccia di Giappone.
E il masu era lì ad aspettarmi.
Il masu 升 è il tradizionale dosatore di riso comunemente utilizzato nel Giappone feudale, nel Periodo Edo (1600-1868).
Tutto in Giappone è riconducibile, chicco dopo chicco, al riso. Lo sono la storia del Paese, la sua economia, le sue battaglie, le sue credenze religiose indigene, i suoi miti, la sua letteratura, i suoi rituali.
Le prime coltivazioni di questo amatissimo e fondamentale cereale risalgono a circa due millenni fa ed è da allora che il riso forgia instancabilmente tanto della cultura di questo Paese insulare (lo shimaguni 島国 come piace spesso precisare ai giapponesi, usando il pretesto a volte per giustificare differenze non sempre ben accette).
Nel Periodo Edo, dunque, il riso aveva il ruolo del denaro: lo si usava come stipendio per i samurai a servizio dei daimyo o semplicemente per misurare il grado di ricchezza di qualcuno e, di conseguenza, il suo prestigio. L’unità di misura del tempo per questi scopi era il koku 石 che equivaleva a circa 180 litri di riso non mondo.
Ma i commercianti, per le vendite al dettaglio, utilizzavano dosatori naturalmente più piccoli. Uno di questi era appunto il masu che esisteva in diverse taglie.
Il masu non serviva solo per misurare il riso, ma anche altri ingredienti essenziali della vita quotidiana del tempo (ma anche in quella attuale), come l’aceto di riso, il sakè, la salsa di soia, vari cereali.
La misura più conosciuta, arrivata anche ai giorni nostri sebbene ora con uno scopo diverso, è quella dell’ichigoomasu 一合升 che equivale a circa 180ml di riso (o altro) vale a dire la porzione ideale per due persone.
Nel Giappone contemporaneo i masu ora sono oggetto della tradizione che rievoca quella nostalgia avvertita a livello collettivo di tutto ciò che era un tempo, in un passato non sempre così vicino e non sempre vissuto in prima persona; i masu al giorno d’oggi vengono utilizzati spesso come contenitore per chi vuole degustare del sake, una sorta di grappa ricavata dalla distillazione del riso.
E come ogni cosa che riguarda la cultura indigena del Giappone, anche per i masu esiste una tradizione di artigianato antica e di tutto rispetto. Il miglior legno per la produzione di questi masu è, senza dubbio, quello di cipresso giapponese, ossia l’aromatico ed elegante hinoki ヒノキ.
Dal Vecchio Giappone un oggetto elegante nella sua semplicità, di buona manifattura e che si sposa armoniosamente bene con la consapevolezza accresciuta del rispetto per l’ambiente.
I commercianti del Periodo Edo, i chonin 町人, non avrebbero mai immaginato che uno dei loro comunissimi dosatori usati per misurare e vendere i propri prodotti sarebbe, molti secoli dopo, arrivato in Italia, a Torino, a pochi passi dal fiume Po a stupire chi questo oggetto non l’ha mai visto e a rallegrare una giapponese nel cuore come me. Marianna.