
In questo primo mio scritto del 2022, vorrei dedicare un pensiero ad una preziosa figura del panorama letterario femminile giapponese: 金子みすゞ Kaneko Misuzu. Di lei vi diedi un accenno qualche anno fa, proprio QUI.
Sono molto legata a questa poetessa perché una delle sue raccolte di poesie mi ha accompagnata in alcuni dei momenti più bui della mia vita. Fu la mia cara amica Akiko a regalarmi questo libro senza sapere che sarebbe stato per me àncora e conforto. E lo è ancora. Anzi, forse ora più che mai.
Kaneko Misuzu (nome d’arte di Kaneko Teru) nacque nel 1903 nella Prefettura di Yamaguchi, regione nella zona sud-est del Giappone. Nacque in un paesino di pescatori di sardine che, non è un caso, avrebbe ispirato molti suoi componimenti poetici.
Vita breve e dolorosa
La vita della poetessa fu breve e traboccante di dolore. Costretta ad un matrimonio combinato dallo zio con un collaboratore nell’attività di famiglia, Misuzu iniziò la sua vita coniugale all’insegna dell’infelicità. Dal matrimonio nacque una bambina di nome Fusae (proprio come la cara signora Fusae che porto sempre nel cuore!). Tuttavia, poco tempo dopo Misuzu scoprì di aver contratto una malattia venerea trasmessale dal marito, assiduo frequentatore dei cosiddetti quartieri del piacere. Il grande patimento fisico si sommò all’insostenibile e tesissimo rapporto col marito e il tutto sfociò in un’agguerrita battaglia legale per la custodia della bambina. La legge giapponese del tempo, infatti, in caso di divorzio garantiva l’affidamento dei figli ai padri.
Per Misuzu tutto questo era semplicemente inaccettabile oltre che indescrivibilmente straziante.
Non potendo sopportare l’idea di questa ingiusta decisione, la giovane poetessa decise di togliersi la vita. Si cita spesso il triste epilogo che così si svolse: il giorno prima dell’affido ufficiale della bambina al padre, Misuzu fece un bagno alla piccola Fusae dopodiché insieme mangiarono un 桜もち sakuramochi. I sakuramochi sono tradizionali dolci morbidi di primavera avvolti in foglie di ciliegio in salamoia.
Qui ne vedete alcuni in una mia foto scattata nella mia cucina di Sagamihara:

Dopo questo struggente e ultimo momento insieme alla sua bambina amata, Misuzu scrisse una lettera al marito chiedendogli di affidare la piccola alle cure della nonna materna poiché non poteva accettare che fosse lui a crescerla.
L’ex marito rispettò le sue volontà e acconsentì affinché l’affido passasse a sua suocera.
Misuzu morì a poca distanza dal suo ventisettesimo compleanno.

Le passeggiate di Misuzu
Il giorno prima di lasciare il Giappone, incontrai Akiko in una caffetteria rumorosa e dove le luci sembravano troppo invadenti. O forse erano i miei occhi che, affaticati dalle lacrime già versate, non tolleravano più alcun affronto.
Fu quel giorno che Akiko mi portò questo libro in dono: みすゞさんぽ Misuzu-sanpo (Le passeggiate di Misuzu), una delle raccolte di poesie di Kaneko Misuzu.
Non conoscevo ancora questa straordinaria poetessa né il suo messaggio. Mi stupirono le illustrazioni che accompagnano ogni singola poesia: animali e semplici oggetti di vita quotidiana, tutti realizzati in plastilina. Tutti elementi che erano parte della quotidianità di Misuzu e che di conseguenza popolavano le sue poesie. Gatti, lombrichi, passerotti, gabbiani, sardine, sgabelli, rose, sapone da bucato, castagne, palline di seta e altri piccoli giochini.
Qualcosa di quelle immagini e di quei componimenti puliti mi trasmetteva un senso di innocente malinconia. E senza saperlo, avrei poi scoperto che è proprio quella l’essenza della poetica di Misuzu.
Un animo innocente che nella sua breve vita colma di dolore seppe aggrapparsi alle piccole cose intorno a sé per ritrovare in esse conforto e ristoro.
Kaneko Misuzu e le sue opere finirono in un dimenticatoio letterario dove vi rimasero per lunghissimo tempo. Fino al 1982, per l’esattezza, quando riaffiorò una sua poesia diventata poi famosissima: 私と小鳥と鈴と (watashi to kotori to suzu to – Io, gli uccellini e le campane). La poesia è a pagina 70 di Misuzu-sanpo.
Lo studioso Luca Cenisi riporta sul suo sito tutta la poesia nella versione originale giapponese di cui fornisce una traslitterazione in caratteri latini più una bellissima traduzione in italiano. Ecco QUI.
La mia passeggiata con Misuzu
L’ultimo giorno di questo travagliato e sconvolgente 2021 sono andata a fare una passeggiata in solitaria lungo il Po. Ho camminato lentamente assaporando ogni istante. Mi sono lasciata cullare dal suono delle mie scarpe che calpestavano spessi strati di foglie secche. Con lo sguardo ho accarezzato la superficie iridescente del fiume su cui si specchiava un sole paglierino. Mi sono fermata ad osservare la fauna che popola le rive del vecchio fiume e mi è sembrato d’intravedere un’armonia tra gli animali che vorrei ci fosse anche tra gli esseri umani.
Sono passata vicino ad una storica colonia felina che da decenni è presente ai bordi del fiume. E ho aspettato, anche questa volta, di vedere uno dei gatti che lì abitano. E ne ho visto uno: un grosso gatto nero che, seduto, sembrava contemplare il moto calmo di quelle acque.
Intorno a me tante persone a spasso, ognuna immersa in un’imperscrutabile bolla di pensieri. Pensieri in movimento e tutti inanellati in forme complesse come le linee iridate sulla superficie cangiante di una bolla di sapone.
Nel mio cappotto blu con in testa il mio sgualcito ma amato berretto nero, passeggiavo respirando quell’aria fluviale che mi accompagna dal giorno in cui venni al mondo qui nella mia straordinaria Torino. E tra le mani, la raccolta di poesie di Kaneko Misuzu. Volevo che le sue parole mi facessero compagnia in quella mia solitaria passeggiata tra gli spogli alberi di ginkgo e le mie lacrime di malinconia e stanchezza.

Arrivata alla Passerella Chiaves, un piccolo ponte pedonale che collega la “mia” riva a quella già ai piedi della signorile precollina, mi sono fermata ad osservare il dipinto vero davanti ai miei occhi: il lungo e antico Po dolcemente indorato da quei raggi deboli ma caparbi e sullo sfondo i primi accenni di collina ammantata nei suoi colori distintamente torinesi.
Quante volte sono passata lì fermandomi sempre ad ammirare quel delicato scorcio di città. Ho percorso quel piccolo ponte con tante gradazioni di sentimento nel cuore: dalla felicità esultante alla tristezza più amara. Ma ogni volta l’effetto quasi ipnotico del Po che imperturbabilmente lambisce le sue rive catturava i miei occhi.
Dalla Passerella ho scattato una foto guardando il cielo e pensando a Misuzu. E su quella foto ho copiato una sua poesia di cui vi riporto la versione traslitterata in caratteri latini e la mia traduzione in italiano.
Il colore del cielo

Sora no iro
Umi wa, umi wa, naze aoi
sore wa osora ga utsuru kara
sora no kumotteiru toki wa
umi mo kumottemieru mono
yuuyake, yuuyake, naze akai
sore wa yuuhi ga akai kara
dakedo ohiru no ohisama wa,
aokanai noni, naze aoi
sora wa, sora wa, naze aoi.
(traduzione mia)
Il colore del cielo
Il mare, il mare, perché è blu?
Perché il cielo vi si specchia
Quando il cielo è nuvoloso
anche il mare lo è
il tramonto, il tramonto, perché è rosso?
Perché lo è il sole del crepuscolo
Ma il sole del mezzodì
non è blu
Perché è blu?
Il cielo, il cielo, perché è blu?
Non cessate mai di farvi domande perché è in esse il propulsore alla vita, il combustibile che saprà far ardere la fiammella della curiosità e del sapere. E tutte le domande sono lecite. Ora più che mai.

Che dire?
Ho pianto lacrime per la malinconica bellezza di questo profilo cosi delicatamente tracciato …..
Rita, ti ringrazio per aver letto il mio scritto. Come ti dicevo ieri, mi piacerebbe fare il possibile per far conoscere questa poetessa attraverso la traduzione di altre poesie.