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Vorrei poter dare un nome alla matassa di pensieri che s’intrecciano ingarbugliati nella mia testa, ma tutto ciò che posso fare è trattenere – con tutte le mie forze – i più belli sperando che resistano alla tentazione, per loro così ammaliante, di liquefarsi nel vento.

Con passo volutamente lento, stavo ritornando a casa questa sera e mentre camminavo osservavo il mondo che va oltre quello che troviamo al livello degli occhi. Quel mondo che trovi stando con il naso all’insù e con i piedi a continuo rischio d’inciampo.

Il solo atto di camminare diventa, con la dovuta attenzione, fonte di insegnamento sulle cose dell’esistenza.

Si cammina con occhi aperti ma che spesso sono chiusi. Si cammina pensando alle tante, troppe cose che costellano la propria vita quotidiana saltando a piè pari il presente, ossia quell’istante che stiamo vivendo e che non tornerà.

Menti proiettate verso il dopo, il futuro, il questa sera o il domani pomeriggio che però si perdono l’irripetibile magnificenza del momento in cui sono.

Il mio passo, forse esasperatamente lento, faceva da benefico freno perché mi costringeva a non perdermi la preziosità dell’istante per preferirla all’aura effimera di un futuro che magari non arriverà mai.

Un cielo malinconicamente zaffiro accoglieva con tenerezza e gelosia una Torino a tratti silenziosa e a tratti effervescente, creando l’illusione di un tulle cobalto dietro cui brillava il riverbero della notte.

L’aria, ormai già da qualche giorno, sa di umanità che vive; di risveglio graduale ma deciso; di sangue che scorre libero nelle vene; di me mentre mi affaccio pigramente in riva al Po e lascio cadere a penzoloni le braccia dalla ringhiera di pietra; di un sole sfolgorante che pennella d’oro la superficie in apparenza ferma del vecchio fiume.

In quella regale gradazione di blu, tra i patrizi palazzi di una Torino che di notte sembra sfoderare la sua veste più signorile ecco brillare una solenne luna di primo quarto.

Un perfetto spicchio di mela tagliato di netto che, come un prezioso gioiello, sigilla quel tulle cobalto da cui è avvolta questa bistrattata, stremata, ma sempre signorile Torino.