Il fiume scorre imperturbabilmente.
Ad esso non importano i gozzovigli, le corse esasperate ad improbabili acquisti, le tavolate del tanto e troppo, i regali forzati, le immancabili liste dei buoni propositi che si dissolvono nell’interminabile gennaio.
Esso scorre e basta.
E ti mostra, per l’ennesima volta, che allo stesso modo scivola via il tempo.
Sono quattro anni ormai che ho scelto volontariamente di non festeggiare più.
Questo mi porta inevitabilmente ad una solitudine che, vi confesso, mi piace.
E` un po’ come sedersi comodamente in poltrona e osservare, da dietro una pulitissima vetrata, il mondo là fuori mentre si cruccia per non essere riuscito ancora a trovare il regalo per la collega; per non aver ancora comprato i piatti nuovi col vischio dipinto sul bordino; per non aver ancora messo dovutamente a soqquadro la sala in vista del cenone; per non aver provveduto a rimpinzare a sufficienza la dispensa già straripante; per aver dimenticato di prenotare il vassoione di agnolotti del plin; per non aver ancora attaccato quelle lucine là che avevamo preso da Tiger, ricordi?
Ognuno sceglie come vivere e io ho scelto di estraniarmi da tutto questo bailamme perché a un certo punto io non ci ho più trovato un senso.
Questo periodo dell’anno diventa, per me, periodo di silenzio in cui ogni giro per la città si trasforma in questa osservazione ovattata da dietro l’immaginaria, ma percepita, vetrata.
E quest’anno, ad acuire il senso di silenzio e inusuale contemplazione, ha contribuito la malattia che ha bersagliato me, la mia dolce metà e certamente tantissime altre persone. Nulla di grave, se non un semplice malanno stagionale che però ha ulteriormente rallentato i già calmi ritmi.
Mentre il 31 dicembre volgeva alla fine e fuori il frastuono celebrativo raggiungeva i suoi culmini sonori, in casa mia il silenzio, la malattia scandita da colpi di tosse, ma al tempo stesso anche un senso composto di pace.
Ho preso in mano un pezzo di carta e con una 筆ペン fudepen giapponese Sakura (un apprezzatissimo regalo autunnale ricevuto da mia sorella e mio cognato) ho tracciato alcuni semplici hiragana scrivendo l`Akemashite omedetou gozaimasu con cui i giapponesi accolgono il nuovo anno.
A riscaldarci il cuore e lo stomaco, rinfrancanti scodelle fumanti di zuppa di miso che ogni giorno sono ospiti nella mia cucina e sulla nostra tavola.
Ho riscoperto così una coppia di preziose scodelle laccate per zuppa di miso, dono della mia cara Akiko.
Sono un tributo alla bellezza di un travolgente fiore invernale a cui non si può non associare il fascino dell’antico Giappone: 椿 tsubaki ovvero la camelia.
Shiromiso fresco e stemperato dolcemente in un brodo dashi ove al suo interno danzavano, al ritmo di un effervescente sobbollimento, patate e cavolo nero.
Shiromiso fresco e stemperato dolcemente in un brodo dashi ove al suo interno danzavano, al ritmo di un effervescente sobbollimento, patate e cavolo nero.
Qualche cubetto di tofu fresco e i sapori veri del Giappone si materializzano in un istante.
L’inverno è la mia stagione perché io sono nata in inverno. Non posso certamente ricordare il giorno della mia nascita (forse ci riusciva Kochan di Mishima o Mishima stesso, chissà) ma ricordo le nevicate a cui assistevo da bambina e come quella neve si trasformasse in un materiale da gioco dalle mille possibilità.
Assaporo il silenzio nel frastuono preparandomi una tazza di buon tè nero di Ceylon e permettendo alle mie dita, molto lentamente, di sfogliare nuovamente le pagine di un libro che non è solo un libro, ma il vero fil rouge – sottilissimo eppur robusto – che mi ha tenuta saldamente legata al Giappone anche nei momenti più tetri: le poesie di Kaneko Misuzu.
Conoscete questa poetessa?
Date un’occhiata qui.
Mi sono aggrappata tante, tante, tante, tante volte alle sue parole e ai suoi kana scelti con meticolosa cura e sincerità. Ad essi mi aggrappavo nei momenti più bui della mia vita quando ho vissuto sulla mia pelle l’acredine dell’abbandono e la desolazione della solitudine non cercata.
Senza saperlo, forse, mi aggrappavo alle sue parole come lei stessa si aggrappava ai suoi propri pensieri poetici nel tentativo di trovare conforto. Un conforto, però, svanito purtroppo per sempre in preda alla disperazione che l’ha condotta a porre fine alla sua vita dopo aver fatto un bagno alla sua bambina e aver con lei assaporato un ultimo sakuramochi.
Ma dalla disperazione mia di allora sono rinata e l’acqua del fiume di allora non esiste più.
Mi rattristo per Misuzu e per la distanza geografica e temporale che non ha reso possibile un nostro incontro.
Solo attraverso le sue parole e i miei occhi che le leggevano con lealtà è avvenuta una sorta di rassicurante convergenza.
Nuova acqua scorre imperturbabilmente e con essa il tempo ma anche la rinvigorente forza di andare avanti perché grazie a Dio sono ancora qui. E anche voi.
❤️Grazie! Per chi come me ama la letteratura giapponese e l’arte legata al Giappone ma non c’è mai stata, mi faccio volentieri condurre li al ritmo del tuo raccontare pieno di immagini e sentimenti