
Handala
Un paio di giorni fa sono ritornata nel quartiere dove sono nata e cresciuta.
Ci sono andata per una commissione che in realtà non era urgente e che soprattutto potevo sbrigare anche da un’altra parte.
Ma ho preferito invece sbrigarla lì perchè sapevo che avrei potuto così godermi una o due ore, in solitaria, per le vie tranquille di quell’angolo di città così intriso di ricordi. Belli o brutti che siano.
È un quartiere dove non c’è assolutamente nulla di speciale, nulla che potrebbe diventar fonte di vanto nei confronti di un forestiero, di un turista.
Non è un quartiere con quella scia affascinante fatta di arte, architettura e storia che solitamente impreziosisce molti quartieri di tante città italiane.
In questo angolo di Torino invece non c’è nulla di tutto questo. Wikipedia elenca, fra i pochissimi luoghi d’interesse e di rilievo storico della zona, una chiesa di deciso sapore ottocentesco, un parco, un giardino intitolato a Peppino Impastato, un oratorio e poco altro.
Questa è una zona di case, case e ancora case. Grossi condomini che agli inizi degli anni Sessanta rappresentavano, in mattoni e cemento, la poderosa forza lavoro di operai non solo FIAT ma di tanti altri stabilimenti e fabbriche che in quegli anni erano realmente la linfa vitale di Torino.
I giardini, i parchi, il tanto verde sono – a mio avviso – uno degli aspetti più belli di questo posto. Un verde abbondante e persin lussureggiante in certi punti. Un verde brillante e generoso che forse nei quartieri più sofisticati e antichi scarseggia fino ad essere inesistente.
E sebbene oramai non esista quasi più la Torino deserta dei mesi estivi dove la città, in seguito al puntuale esodo dei cittadini verso luoghi di villeggiatura, si svuotava fino ad assumere i toni e le sensazioni surreali di una solitudine come quella del prof. Borg ne “Il posto delle fragole” di Ingmar Bergman, si assiste lo stesso ad un alleggerimento delle vie.
Passeggiando per una di queste vie smeraldine e quasi solitarie, a passo volutamente lento e assaporato, con gli occhi cercavo tutti gli appigli della memoria, angoli a cui inevitabilmente sono legati dei ricordi.
Ricordi semplici, d’infanzia e adolescenza. Ricordi forse sciocchi e privi di senso, ma che sono comunque una parte insostituibile di ciò che sono io.
In una di queste vie verdi e illuminate dal sole instancabile del pomeriggio, una donna in dolce attesa aspetta un autobus in compagnia di sua figlia, un’allegra bambina che avrà avuto suppergiù otto o nove anni.
Mamma e figlia chiacchierano felicemente di cose varie.
La bambina, altalenandosi con fare giocoso e con lo sguardo rivolto all’insù, pone alla mamma questa domanda:
“Mamma, ma il cielo è dritto o a cerchio?”
Non ricordo quale fu la risposta della mamma, ma poco importa.
Ho proseguito la mia passeggiata, a passi lenti e assaporati, per le vie alberate e semi-deserte di un modesto quartiere di Torino dove non ci sono tracce di glamour o impronte di acclamati architetti di gloriose epoche che furono.
Tutti i bambini del mondo sono curiosi di quello che li circonda. I loro occhi tentano di interpretare ciò che vedono, dandosi forse spiegazioni che ad un adulto possono sembrare fantasiose o addirittura strampalate.
Ma alle volte, anzi troppo spesso ancora, ci sono bambini i cui occhi vedono da subito il lato peggiore e più scuro dell’essere umano. Sono occhi che vedono, loro malgrado, il personificarsi di violenze e orrori che nemmeno le parole più accorate potranno mai descrivervi completamente.
Forse avete riconosciuto Handala, in alto a sinistra, quel personaggio creato dall’artista e illustratore Naj-al-Ali e che rappresenta un bimbo palestinese proveniente da un campo profughi.
Handala viene sempre rappresentato così, mentre guarda avanti e volta le spalle a noi che guardiamo lui.
Handala si volterà solo e quando la Palestina sarà finalmente una terra libera.
Queste settimane di nuovi attacchi vigliacchi da parte dell’esercito israeliano sulla popolazione civile palestinese hanno portato molta preoccupazione e dolore nella mia vita.
Le tragedie nel mondo sono tante, più di quanto possiamo immaginare, ma credo profondamente che sia dovere di ogni essere umano provare solidarietà nei confronti di tutte le popolazioni oppresse, senza distinzione alcuna.
Il conflitto israelo-palestinese è una dolorosa vicenda che va avanti da decenni e decenni. Molti di noi ricordano vecchi telegiornali che già ne parlavano e in cui già si davano interpretazioni e possibili soluzioni.
Pur essendo una vicenda così complessa, le sue origini e la sua storia sono estremamente semplici e alla portata di chiunque voglia studiarle con una mente pulita, onesta e sincera.
Questo è uno di quei casi dove è possibile avere un quadro completo e preciso dei fatti, unitamente a un’opinione altrettanto chiara e solida, purchè ci si accosti alla questione con sincerità ed onestà.
Se desiderate chiarirvi le idee in merito, vi consiglio, anzi vi invito con il cuore in mano, a leggere QUI e a vedere QUESTO video.
La Palestina ora mi tocca molto da vicino perchè fa parte del mio quotidiano, della mia vita, della mia nuova vita. E non potrei dunque discostarmi mai dalle lacrime e dal sangue che quella terra versa da così tanto tempo ormai, davanti a intere nazioni che sembrano mantenere un’aria di totale impassibilità e addirittura indifferenza.
Cosa possiamo fare davanti al genocidio che Israele continua a compiere contro i palestinesi?
Che cosa possiamo fare noi da qui?!
Manifestazioni?
Lettere e petizioni infervorate su Facebook o altri siti?
Boicottaggi generali contro tutti i prodotti di manifattura e origine israeliana?
Non lo so. Non so nè se queste soluzioni servano nè a quanto possano servire.
Ma so per certo che un primo passo possiamo compierlo attraverso la nostra solidarietà generale, attraverso i nostri cuori.
Quel che possono i cuori forse può apparire come un’insignificante stilla nel mare, ma non lo è ed è certamente un primo passo in quel coro d’indignazione che tutti noi dobbiamo creare per far muro contro ogni forma di bieca vigliaccheria e orrore.
Quel che possono i cuori è opporre forte resistenza contro ogni individuo, sistema, Stato che ritiene accettabile lanciare bombe e gas nervini sulla popolazione civile, sia che ne sia il fautore diretto o un vile complice.
La mia speranza è che a tutti i bambini venga concessa l’innegabile libertà di poter alzare gli occhi e contemplare, con lo sguardo curioso ed innocente dei piccoli, il cielo per chiedersi se questo sia dritto oppure a cerchio.
E chissà, magari un giorno lo farà pure Handala mentre si volterà verso di noi mostrandoci il suo più bel sorriso.
#FreePalestine
#SaveGaza
#PrayForPalestine