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Primavera d’ottobre

Una personalissima e stramba folata di primavera in questa domenica d’ottobre. Proprio qui, in questa casa a due passi dalle sponde del Po.

La finestra spalancata si affaccia sulla mia via sonnecchiante che è puntualmente avviluppata nella sua consueta coltre domenicale. Gli ombrelloni amaranto della caffetteria di quartiere sono chiusi e sembrano boccioli ancora avvolti nelle brattee, quasi come a voler gelosamente custodire memorie di fugaci convivialità.

Qualche casuale passante percorre questa via addormentata attraversandola a passo lento, addirittura svogliato. È il passo della domenica che incarna l’essenza di un meritato otium spesso, secondo me, striato di malinconia.

I ventidue gradi e qualcosa riportati dal barometro certificano l’illusione di una timida primavera estemporanea. In lontananza, un accenno di un pallido sole si sta dissolvendo nell’azzurro fumoso del cielo mentre, sul corso principale, sferraglia il tram della linea 15 che riporta i torinesi quasi ai piedi della collina dopo la passeggiata di rito in centro.

Tante altre finestre sono aperte, gioiosamente aperte, come ad accogliere questa gentile aria tiepida che forse – chissà – è preludio dei primi freddi. Sia come sia, i davanzali sono ancora abbelliti da fiori colorati che anche in mezzo alla città sanno essere rimando alla natura.

Oh, se solo il sole fosse stato un po’ più sfrontato oggi ci si sarebbe potuti illudere ancor di più di essere ritornati per un attimo in una primavera sbocciata!

Sakura-mochi a ottobre

A suggellare questa strana primavera ottobrale e transeunte, una solitaria merenda frutto di una bizzarra scoperta del tutto inaspettata: i sakura-mochi.

Sakura-mochi
Sakura-mochi

I sakura-mochi comparsi inaspettatamente nel negozio della mia amica Nu (di cui vi ho parlato qui) mi hanno talmente sorpresa da non poter proprio resistere alla tentazione di acquistarli. Sebbene i sakura-mochi, ora, siano completamente fuori tempo massimo come stagione.

I sakura-mochi sono, infatti, dei tradizionali dolci giapponesi gustati in primavera. Sono dolci di riso glutinoso avvolti in una foglia di ciliegio in salamoia.

Nel banco freezer del negozio di Nu, invece, eccoli lì. Ecco i sakura-mochi a ottobre, come a voler riportare un assaggio di primavera in autunno.

Nello specifico, si tratta dei sakura-mochi di 芽吹き屋 Mebuki-ya, un’azienda di prodotti di pasticceria tradizionale giapponese con sede nella città di Hanamaki, nella Prefettura di Iwate.

E ancora di più nello specifico, i sakura-mochi in questione sono preparati nello stile del Kansai.

Piuttosto bislacco, devo ammettere, parlare di sakura-mochi il 16 di ottobre. Ma tant’è.

Due declinazioni dello stesso dolce

Il sakura-mochi è famoso per essere non solo uno dei wagashi primaverili più noti ma anche per la sua doppia versione.

Vi è infatti la versione stile Kansai e quella stile Kantō. Le due aree geografiche si riferiscono rispettivamente alla zona ovest ed est del Giappone con i due poli di rappresentanza: Kyōto e Ōsaka per la parte occidentale e Tōkyō per quella orientale.

Ma i veri punti di riferimento per entrambe le varietà sono due templi specifici: il 道明寺 Dōmyōji di Ōsaka e il 長命寺 Chōmeiji di Tōkyō. I due templi sono i luoghi in cui hanno avuto origine le due versioni del dolce.

Durante i miei anni nel Kanagawa – che è nel Giappone orientale e quindi rientra a pieno titolo nel Kantō – i sakura-mochi per me erano prevalentemente quelli preparati nello stile locale ossia alla maniera del Chōmeiji. Questi sakura-mochi sono composti da una sottile crepe rosa liscia ripiena di pasta di azuki, e il tutto avvolto nella foglia di ciliegio salata.

Nelle scatole di wagashi che ricevevo ogni mese da Ishii-san, tuttavia, trovavo ogni tanto nel periodo primaverile anche i sakura-mochi nello stile del Dōmyōji. Questi, a differenza degli altri, sono composti da una morbida pallina di impasto glutinoso e un po’ colloso, sempre di color rosa, ripiena di marmellata di azuki e poi il tutto avvolto nella consueta foglia di ciliegio in salamoia.

Immaginate, dunque, la frizzante estemporaneità del trovare sakura-mochi in stile Dōmyōji provenienti da Iwate, in una bottega di alimentari asiatici a conduzione vietnamita a Torino, in un giorno d’ottobre.

Impossibile resistere a questo mosaico di suggestioni.

E così, per godere appieno della bizzarria di questa finta primavera accentuata dalla mia immaginazione, una merenda a base di sencha e sakura-mochi.

La mia merenda primaverile di ottobre

Lo sfuggente sapore del sakura

Tutto ciò che ruota attorno al sakura in traduzione spesso fa riferimento al ciliegio. E questo crea l’inganno maggiore per chi non conosce lo sfuggente ma inconfondibile sapore del sakura. Perché qui il frutto non c’entra nulla.

Il gusto dolce della ciliegia, con la sua innocente esuberanza, non ha alcunché a che vedere con il sapore del sakura. Nulla. È una distrazione fuorviante.

Qui si parla del sapore del fiore e della foglia del ciliegio, non del frutto. La protagonista è la 桜葉 sakuraba, la foglia!

La fragranza e il sapore del sakura non sono semplici da descrivere. Tra i pochi aggettivi adeguati sceglierei aromatico, floreale, erboso. Ad accentuarne poi la gradevole nota asprigna contribuisce la complessità palatale data della conservazione in salamoia dei fiori e delle foglie, tecnica che facilita l’utilizzo di queste parti della pianta nelle preparazioni gastronomiche e di pasticceria.

Foglia sì o foglia no? Ma foglia sì!

A rendere ancora più curioso questo primaverile incontro di ottobre con questi wagashi è stato notare la quasi assenza della classica tonalità rosa che normalmente accompagna questi dolci, in entrambe le versioni. Forse perché, dopotutto, sono sakura-mochi di ottobre? Un impasto pressoché bianco candido, quasi come a voler richiamare la fumosità del cielo d’autunno oppure le prime nevi che verranno?

Il contrasto tra l’impasto dolce, morbido, piacevolmente colloso e la sapidità aromatica della foglia di sakura è certamente un’esperienza olfattivo-palatale che sa indiscutibilmente di Giappone. Il Giappone in casa mia, con gli occhi chiusi e con una tazza caldissima sencha in mano.

Morsi autunnali di primavera

Il morbido ripieno di marmellata di azuki di Hokkaidō contrasta armoniosamente con la fragrante sapidità della foglia. Ci sono persone che, nel mangiare i sakura-mochi, eliminano la foglia; io appartengo invece al gruppo di coloro che la considerano parte integrante – anzi, caratterizzante – del dolce stesso.

読書の秋 Dokusho no aki

Di recente ho raccontato qualcosa di un libro che ha iniziato a farmi compagnia da fine agosto e che continua a narrarmi fatti passati, giorno dopo giorno. Trovate qui l’articolo.

Il libro in questione, in corrispondenza della data di oggi, riporta un fatto decisamente poco attinente all’evocazione poetica anche se bizzarra dei sakura-mochi assaporati in autunno.

16 ottobre 1973

La mini commemorazione proposta dal libro rievoca la famigerata crisi energetica del 1973 che comportò un aumento repentino del greggio e dei suoi derivati, con tutte le pesanti conseguenze del caso. In Giappone questa situazione degenerò portando la popolazione al 買いだめ kaidame ossia alla corsa alle scorte alimentari, ma soprattutto alla carta igienica.

Tra le letture d’autunno che mi accompagnano, ecco invece un volume decisamente più in sintonia con il clima semi-primaverile-poetico di oggi:

「漢字の成り立ち図鑑」Kanji no naritachi zukan. Guida illustrata all’evoluzione dei kanji.

Un volumetto piccolo ma ricchissimo di informazioni storiche relative all’evoluzione dei kanji nei secoli. Frutto degli studi della ricercatrice 吉田裕子 Yoshida Yūko che, grazie alla sua capacità preziosa di saper condividere questioni linguistiche usando un linguaggio accessibile a tutti, si impegna anche a sfatare una serie di miti riproposti in tanti libri di testo circa l’origine dei caratteri. Ovviamente lo trovate su Verasia, proprio qui.

Svanito l’incanto

È calata la sera. Il cielo si è ammantato nuovamente del suo drappo di un grigio nero con sprazzi di rosa antico. Tutt’attorno le luci di una città che già si prepara al ciclico trantran di sempre. La via si è rianimata e tutto già odora di un quasi lunedì. L’aria ha quella freschezza che inizia a pizzicare dolcemente la pelle.
Il barometro è già sceso al di sotto dei venti gradi e certifica la fine di questa effimera primavera immaginata, inventata e ricamata anche grazie a questi transitori sakura-mochi ormai scomparsi.

Sensazioni autunnali e pagine di storia

Uno scorcio incantato vissuto in solitudine: il Lungo Dora Voghera, a Torino.

Settembre si è già dissolto nelle acque del tempo e ottobre è qui. Nell’aria si sono già diffuse prepotentemente quelle note di bruciato che sembrano marcare la linea di confine tra l’estate morente e il giovane autunno. L’aria attraversata da venature già fredde e il cielo con quei suoi colori quasi taglienti mi hanno ricordato che l’estate è – anche questa volta – soltanto un ricordo.

E in effetti è così: mi volto e la vedo nella sua bolla rovente contro cui climatizzatori e bibite ghiacciate poco potevano.

Rivedo le settimane scivolate via, a volte faticosamente, nell’afa che sapeva inghiottire anche il più frizzante degli entusiasmi. Così, in un sol torrido boccone.

Le pale di ventilatori che instancabilmente tentavano di fendere quella coltre infuocata restituendo una parvenza di sollievo.

Le ponderose notti estive avvolte in un cielo colloso dove l’aria era immobile in una stasi meditativa.

Le strade d’agosto deserte e bollenti in cui tutto sembrava assumere le sembianze di un quadro di De Chirico.

È tutto un ricordo.

Eccoci qui, avvolti nella coltre dell’autunno.

Tazze di tè bollenti che intiepidiscono le mie dita già fredde e il mio cuore già planato nelle acque della malinconia. Calde fette del mio banana bread che sa sempre di America e bastoncini d’incenso di agarwood che lentamente bruciano liberando esili nastri di fumo fragrante.

È così che in una domenica di fine settembre ho percorso in solitaria il Lungo Dora Voghera aggrappandomi agli ormai già flebili raggi di sole e pensando alla bellezza limpida dell’istante. Ho assaporato quegli istanti di un settembre che appassiva davanti ai miei occhi.

読書の秋 Dokusho no aki

Il libro con cui ho attraversato la fine dell’estate per fare ingresso nei giardini dell’autunno.

In giapponese esiste un’espressione: 「読書の秋」(traslitterato: dokusho no aki) che è adatto a questo periodo. Letteralmente significa, infatti, autunno di letture. Fa riferimento al fatto che l’autunno è un periodo perfetto per riscoprire la lettura. Saranno le temperature che via via ci invogliano a riscoprire angoli caldi di casa. Ma forse saranno anche i colori straordinari con cui la natura si ammanta in questi mesi ad aumentare la voglia di introspezione nonché la ricerca del sapere.

Verso la fine di agosto ho trascorso alcuni giorni a casa di mia sorella, in compagnia dei suoi due splendidi animali: un cane e un gatto. Al mio arrivo mi aspettava questo libro che avevo fatto appositamente recapitare a quell’indirizzo, in previsione del mio imminente soggiorno. E così, nei panni della pet sitter, ho vissuto quelle giornate regolari in un silenzio rotto soltanto dalla voce di Jamiroquai e dalle mie conversazioni con i due amici a quattro zampe.

Le giornate con Aki e Toretto sono scivolate via, scandite dai ritmi regolari delle loro necessità, dalla morsa del caldo che non mollava la presa e dal mio desiderio di calma e silenzio.

E ho vissuto quelle giornate fantasticando tra le pagine di un libro che mi ha presa per mano in quegli ultimi giorni di agosto e continua il cammino insieme a me ora.

読書の秋

Il libro che mi aspettava a casa di mia sorella è intitolato 「日本の歴史366ぜんぶこの日にあったこと!」Nihon no rekishi 366 zenbu kono hi ni atta koto. Cioè La storia del Giappone 366 – tutto ciò che è avvenuto in questa data.

Si tratta di un bellissimo volume curato dall’esimio Professor Owada Tetsuo dell’Università di Shizuoka, storico specializzato in storia giapponese.

È un libro rivolto principalmente ad un pubblico giovane dato il modo accattivante con cui sono presentati i contenuti.

Con la presenza del Professor Owada, la storia giapponese non poteva che essere l’argomento protagonista.

Storia giapponese

La storia giapponese viene presentata, giorno dopo giorno, raccontando ai lettori di poeti, scrittori, guerrieri, imperatori, dame di corte. Non ci sono solo sguardi biografici ma anche giornate in cui si ricordano importanti battaglie oppure tragiche calamità naturali.

Il volume, dunque, propone ogni giorno al lettore contemporaneo un fatto storico avvenuto in quella data, secoli e secoli prima. L’episodio, di cui viene riportata la data sia secondo il calendario tradizionale sia quello gregoriano, è raccontato attraverso un breve testo accompagnato da illustrazioni sempre molto carine ed efficaci nel far immaginare il momento descritto.

Al fondo di ogni pagina, inoltre, l’autore mette alla prova la comprensione con una brevissima domanda a scelta multipla.

Anche dal punto di vista grafico l’opera è molto curata. Ad ogni mese è assegnato un colore le cui sfumature servono per evidenziare varie parti di ogni pagina. Il tutto è stampato su carta di qualità, piacevole al tatto e gradevole alla vista.

Uno strumento straordinario per arricchire la propria conoscenza non solo di storia giapponese ma di kanji, vocaboli, modi di dire! Questo è un vero scrigno pieno fino all’orlo di conoscenza preziosa, soprattutto per i giapponesisti di quasi ogni livello.

Per poterlo leggere fluidamente vi servirà partire almeno da un livello N3 solido. Tuttavia, se siete al di sotto dell’N3, non disperate: potete certamente trarre beneficio da questo libro con una lettura parziale, magari soffermandovi sui vocaboli e i kanji.

Figure affascinanti

Questo libro è un vero viaggio nella storia, in una storia lunga, ricchissima e costellata di personaggi incredibili. È stato proprio grazie a quest’opera che sono venuta a conoscenza, ad esempio, di una figura davvero curiosa: 中浜万次郎 Nakahama Manjirō (noto anche come John Manjirō) nato nel periodo Edo e morto nel periodo Meiji. È passato alla storia per essere stato uno dei primissimi giapponesi a visitare gli Stati Uniti ed essere poi diventato uno dei primi traduttori e interpreti durante quel complicato momento di apertura del Giappone all’Occidente.

Nakahama Manjirō

Ho trovato storia di John Manjirō talmente straordinaria da aver poi condotto delle mie ricerche per approfondirne alcuni aspetti.

Grazie a Ko e Verasia!

Sono venuta a conoscenza di questo magnifico libro grazie a Ko, una ragazza nippo-neozelandese che ha un account Instagram @ko.studygram dedicato alla lettura di libri giapponesi. Attraverso eventi e consigli vari, Ko cerca di incoraggiare i giapponesisti di ogni dove ad appassionarsi alla lettura in lingua. Perché leggere è e rimane la miglior strategia per incrementare il proprio bagaglio lessicale nonché la propria capacità di comprensione strutturale della lingua.

E grazie ai bravissimi amici della libreria Verasia, di cui ho già parlato qui, ho potuto acquistare questo libro del professor Owada e riceverlo in pochi giorni.

Le letture continuano…

Questo autunno è iniziato già impregnato del profumo dei libri e dell’atmosfera che essi sanno creare già dalla prima riga. Probabilmente racconterò di altri libri che allietano queste giornate già fredde e piovose e così squisitamente in sintonia col mio essere.

Il blog è in attesa di tante novità, alcune ancora in bozza e altre per adesso solo nel cantiere della mente.

Forse è per questo che non sono una blogger di grande successo?

O forse lo sono? D’altronde Biancorosso Giappone racconta da tanti anni ormai e in moltissimi mi leggete ancora. Le statistiche e i messaggi che mi mandate non mentono.

Cucina giapponese casalinga: la Poteto Sarada ポテトサラダ

Insalata giapponese di patate

ポテトサラダ L`insalata di patate del Lontano Oriente

Cucina giapponese. Cosa vi viene in mente?

Vediamo se riesco ad indovinare.

Sushi. Sushi. Sushi. Sushi. E ancora sushi, declinato in tutte le sue varianti: nigiri-zushi, temaki, kappamaki e altre ancora.

Anfore di sakè.

Scodelle di riso al vapore. Scodelle laccate contenenti calde zuppe di miso.

Eteree composizioni di tempura.

Tazze di tè verde.

Delicati edamame.

E poi di nuovo sushi. Bacchette. Stuoiette di bambù. Paraventi. Ventagli.

A proposito, sapete come si chiamano quelle barche di bambù cosi` utilizzate qui in Italia come coreografico metodo di presentazione di sushi e sashimi?

Funamori 舟盛り.

La realtà, cari amici e lettori di Biancorosso Giappone, è che la cucina giapponese è un piccolo e gustoso universo di cui ancora si conosce poco qui in Occidente.

Una cucina che sorprende. Delicata. Raffinata. Eppure semplice e che si appella ai gusti autentici degli ingredienti più freschi e di stagione, dribblando abilmente tante spezie o tutto ciò che possa disturbare la nuova armonia di sapori. Il concetto di shun 旬, o stagionalità dei cibi, è davvero un ingrediente cardine nella washoku (questo il nome della cucina tradizionale del Giappone) e un criterio sempre rispettato, laddove possibile.

Chi di voi mi segue e legge da tempo ricorderà che dalla mia vecchia casa (il mio storico blog, per intenderci) ho condiviso tante, tantissime ricette: alcune mi erano state insegnate dalla mia mentore di washoku, Kyoko-san; altre provenivano da appunti presi guardando trasmissioni di cucina sulla NHK; altre erano frutto di mie traduzioni di ricette prese dai più disparati libri di cucina.

Vi ho parlato tanto di washoku negli anni. Tantissimo.

Ma in particolare vi ho parlato tanto di katei-ryoori 家庭料理, ossia la cucina giapponese casalinga.

I sapori della quotidianità. Le rassicuranti delizie che appaiono ogni giorno in tavola, negli obento per la scuola o il lavoro, ai picnic.

I piatti dell’anima.

La cucina della semplicità, della famiglia, della sfida di un budget ristretto con cui nutrire bene però i propri cari. Piatti a volte meno aulici di quelli proposti dalla cucina ufficiale, ma non per questo meno meritevoli di lodi; ricette dove, col tempo, si sono intrufolati ingredienti di origine occidentale (ad esempio la maionese, la salsa di pomodoro, il burro, ecc.)

La cucina, in poche parole, della vita.

Ebbene, io con questo post vorrei inaugurare la sezione “cucina casalinga giapponese” dove, pian piano, proporrò e riproporrò grandi classici della tavola nipponica di tutti i giorni.

Le ricette, come quella che vi presento oggi, hanno le seguenti caratteristiche:

  1. Sono autentiche ricette giapponesi del repertorio casalingo;
  2. Sono di facile realizzazione e non richiedono attrezzi particolari o abilità strabilianti;
  3. Laddove possibile, sono state riadattate per poter essere realizzate qui in Italia facilmente e senza spendere tanto.
  4. Vi permetteranno di portare sulla vostra tavola autentici sapori del Sol Levante.

La ricetta di oggi è la Poteto Sarada ポテトサラダ o insalata di patate, un contorno (o okazu おかず, come si dice in giapponese) molto amato e che spesso compare negli obento, sia casalinghi che acquistati già pronti. Questa versione che vi propongo proviene dal Kanagawa, dove un tempo abitavo.

A primo acchito, forse, vi ricorderà la nostrana insalata russa anche se gli ingredienti qui sono un po’ diversi.

Un’altra differenza sostanziale sta nella quantità di maionese che qui deve essere modesta. Niente oceani di maionese, dunque!

E’ sufficiente una quantità di maionese tale da legare solo gli ingredienti insieme. Miriamo ad ottenere una consistenza tale da permetterci di poter consumare la nostra poteto sarada con le bacchette!

Vediamo insieme gli ingredienti e il procedimento.

Preciso che la poteto sarada, in Giappone, è solitamente servita in piccole quantità ma seguendo porzioni un po’ più italiane direi che, approssimativamente, le dosi che vi darò siano sufficienti per quattro o cinque persone.

Ingredienti per 4 o 5 persone:

2 patate di media grandezza

1 carota

mezzo cetriolo

1 uovo sodo

1 cipolla piccola

maionese* q.b.

sale e pepe q.b.

Una punta di Karashi o senape giapponese (facoltativo)

Ingredienti per la poteto sarada

Ingredienti per la ポテトサラダ poteto sarada.

Procedimento

  1. Lavare le patate e metterle, ancora con la buccia, in un pentolino d’acqua a bollire. Lavare e pulire la carota e metterla a bollire con le patate. I due ortaggi andranno fatti cuocere quel tanto che basta affinché siano morbidi e si possano tagliare a cubetti. Non devono disfarsi, dunque. Io ho tagliato la carota a fettine perché mi sentivo ispirata così.
    Carote affettate.

    Carota affettate finemente.

  1. Lavare il cetriolo, tagliarlo per lungo e – aiutandosi con un cucchiaino – privarlo dei semini. Affettare il cetriolo molto finemente. E’ importante!
  2. Sbucciare la cipolla e affettarla altrettanto finemente.
  3. Disporre su un piattino il cetriolo e la cipolla affettati e cospargerli di sale fino. Lasciarli riposare per alcuni minuti. A contatto col sale, i due ortaggi rilasceranno tanta acqua.
    Cetrioli e cipolle

    Il cetriolo e la cipolla affettati finemente e cosparsi leggermente di sale.

  4. Aiutandovi con le mani, prendete sia il cetriolo che la cipolla e strizzateli bene bene, con un po’ di forza. Mettete da parte.
  5. Una volta cotte, scolare le patate, pelarle e tagliarle a dadini. Stessa cosa con la carota.
  6. Sbucciare l’uovo sodo e tagliuzzarlo grossolanamente.
    Uovo sodo a metà.

    Un uovo sodo pronto a contribuire alla causa della poteto sarada.

  7. In un recipiente unire: le patate e la carota a dadini, il cetriolo e la cipolla strizzati, l’uovo tagliuzzato, il sale, il pepe, la karashi (se la usate), e la maionese. Mescolare bene e con delicatezza. Coprire il recipiente e, se possibile, lasciar riposare in frigorifero per almeno un’oretta.
    Karashi o senape giapponese. Si distingue da quella europea e americana per l'assenza di aceto.

    Karashi o senape giapponese. Si distingue da quella europea e americana per l’assenza di aceto.

  8. Servire fredda, possibilmente in un bel piattino.
Insalata di patate

Insalata di patate giapponese o poteto sarada.

Come con la quasi totalità delle ricette mondiali, credo, anche per la potato sarada esistono varianti. Quella che vi ho presentato io è forse la versione più classica e comune. Un’altra variante altrettanto gettonata prevede anche l’aggiunta di prosciutto. Io personalmente non lo aggiungo.

*Bisognerebbe utilizzare la maionese giapponese (Kewpie) dal sapore diverso dalla maionesi nostrane. Tuttavia, essendo un ingrediente di non facile reperibilità ed essendo questa sezione dedicata a ricette autentiche giapponesi ma di facile ed economica realizzazione in Italia, consiglio di utilizzare una maionese qualunque purché non abbia un sapore di aceto troppo pronunciato.
Consiglio o una maionese casalinga preparata con succo di limone oppure la Delicata Calvè.

Alla prossima ricetta di katei-ryoori!

E come si dice in giapponese prima di mangiare e bere:

Itadakimasu!

いただきます!

Insalata di patate giapponese

Ed ecco pronta la vostra ポテトサラダ poteto sarada o insalata di patate…alla maniera dei giapponesi!

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