
Ho pensato molte volte a quale sia il mio piatto giapponese preferito in assoluto e – devo confessarlo – non è mai stato semplice individuarne solo uno. La cucina giapponese tutta mi ha conquistata giorno dopo giorno, lasciando dietro sé ogni volta il desiderio crescente di continuare a scoprirla.
Tuttavia, seppur con notevole difficoltà, posso annoverare due specialità tra i miei piatti prediletti: il 鉄火丼 tekkadon e la ざる蕎麦 zaru-soba. Il primo è uno dei donburi (scodelle di riso al vapore guarnite con ingredienti vari) più noti dove l’ingrediente principe è sashimi di tonno marinato. Della seconda, beh, vi racconto qualcosa oggi.

Per quanto la cucina giapponese sia ricchissima di specialità forse più vicine come sapori e consistenze alle nostre cucine occidentali, mi sento molto attratta dai sapori più lontani.
Sarà la mia insaziabile passione per il periodo Edo ma a me sembra proprio di rintracciare in questi due piatti degli indizi olfattivi e papillari di un’epoca che amo profondamente.
Soba: precisazioni linguistiche
Nei tanti scritti che ho pubblicato negli anni ho dedicato molti pensieri sparpagliati a questo alimento che amo così tanto.

Innanzitutto, bisogna subito fare una precisazione linguistica: il termine giapponese soba (in hiragana: そば e in kanji: 蕎麦) si può riferire sia al grano saraceno come pianta sia agli spaghetti preparati con la farina da esso ricavata.
A voler essere precisi, c’è un terzo significato: il termine soba può riferirsi anche ad alcuni spaghetti che però non contengono grano saraceno. Si pensi, ad esempio, agli spaghettini di grano tenero in stile cinese usati per la yakisoba. Ecco, il nome stesso contiene il termine soba che però verrà sempre scritto in hiragana e non kanji proprio per sottolineare l’assenza di grano saraceno.
Un altro esempio di soba non soba è una delle specialità della magnifica Okinawa: la Okinawa-soba 沖縄そば chiamata anche sōki ソーキ. O suba (soba) nel dialetto locale. Un piatto di chiare origini cinesi a base di spaghetti di grano tenero in brodo con costolette di maiale in agrodolce.

Soba: assaggi storici
La storia del grano saraceno in Giappone vanta origini antiche che però, come spesso accade con le cose dei tempi andati, sono avvolte in una coltre di dubbi e divergenze teoriche.
Si dice che sia stato introdotto in Giappone dalla Cina verso la fine del remotissimo periodo Jōmon 縄文時代 (10.000 a.C. – 300 a.C.) e abbia mantenuto una discreta popolarità ancora fino al periodo Nara 奈良時代 (710 d.C. – 794 d.C.) grazie alla capacità di questa pianta di attecchire anche in terreni particolarmente aridi. La coltivazione del grano saraceno serviva soprattutto come alternativa di emergenza nei periodi di raccolti scarsi di riso. Per questa ragione, si diffuse particolarmente tra i contadini, soprattutto nelle zone più montagnose.
Questo legame con il mondo contadino avrebbe assegnato alla soba (sia la pianta prima sia gli spaghetti poi), secondo alcuni, una sorta di aura spirituale: la sua provenienza da una realtà frugale ed essenziale per definizione li ha resi il pasto ideale per molti monaci zen che in essa vedevano la quintessenza di una dignitosa umiltà. Il legame tra la soba e lo zen si rafforzò poi soprattutto nel periodo Edo quando nei templi iniziarono a svolgersi le operazioni di macinatura del grano saraceno e la preparazione stessa degli spaghettini di soba (sobakiri). Queste erano operazioni che richiedevano grande concentrazione, disciplina, rigore e silenzio.
Sembra, comunque, che nel periodo Nara il grano saraceno non venisse usato ancora per la produzione degli spaghetti che conosciamo. Pare, infatti, che della pianta si consumassero i chicchi bolliti mentre con la farina si preparassero delle specie di gnocchetti.
Il concetto di spaghetto fu introdotto, sempre dalla Cina, tra i periodi Nara e Kamakura 鎌倉時代 (1185 d.C. -1333 d.C.) ma la novità gastronomica ci mise del tempo a diffondersi forse anche a causa delle forti instabilità politiche tipiche di quell’epoca. La soba spaghetto, infatti, rimase piuttosto dietro le quinte almeno fino alla fine del periodo Muromachi 室町時代 (1336/38 d.C. – 1573 d.C.).
Soba nel Periodo Edo
Gli spaghetti di grano saraceno avrebbero ricevuto la notorietà che meritano solo nell’arco del mio amato periodo Edo 江戸時代 (1603-1868 circa). Questi spaghetti – noti al tempo anche col termine di 蕎麦切り sobakiri – diventarono uno dei piatti più diffusi. Edo (l’antica Tokyo), dopo l’unificazione del Giappone sotto lo shogunato Tokugawa nel 1603, divenne la capitale del Paese. Era una città effervescente e in pieno sviluppo. Essa accoglieva persone da ogni parte del Giappone che qui si stabilivano per ragioni principalmente di lavoro. Si dice che la maggior parte dei ristoranti dell’epoca chiudesse intorno alle 22 (ossia intorno all’ora del Cane, secondo l’antico orologio Edo) e che da quell’ora in avanti ci fossero perlopiù venditori ambulanti di soba che divennero sempre più numerosi.
Questi banchetti ambulanti si chiamavano yotaka-soba 夜鷹蕎麦: il termine yotaka in origine indicava una prostituta illegale cioè operante al di fuori del quartiere dei piaceri di Yoshiwara. Inizialmente, infatti, queste attività di soba notturna non erano autorizzate. Alcuni studiosi sottolineano però che il termine fa riferimento anche all’abitudine di queste prostitute non di Yoshiwara di fermarsi a mangiare la soba a notte fonda.

I venditori ambulanti di soba si riconoscevano anche grazie a dei banchetti che questi trasportavano direttamente in spalla. Questi banchetti si chiamavano yatai 屋台.
Ultimi cenni storici

In breve tempo, la soba divenne davvero uno dei piatti più gettonati di tutta Edo perché era gustosa, economica e poi la preparazione del piatto era piuttosto veloce. Questa rapidità nella preparazione si adattava bene – si dice – agli Edokko 江戸っ子 ossia i nativi di Edo, noti per essere poco pazienti e piuttosto iracondi.
Non mi soffermerò sulle tipologie di soba del tempo o sulle differenze enormi tra l’interpretazione di questo piatto secondo la cucina di Edo e quella del Kansai. Sottolineo, però, che ora come allora la soba si consumava sia fredda sia in brodo.
In un futuro – spero non troppo lontano – potrei pensare ad una raccolta di aneddoti gastronomici della bella e spumeggiante Edo.
Ma…chi lo leggerebbe?
Zaru-soba: la ricetta
Dopo questo lungo prologo profumato di storia, arriviamo finalmente alla ricetta.
Condivido con voi la ricetta per la soba fredda, particolarmente amata in estate. Una preparazione analoga vede gli udon, sempre serviti freddi. Scrissi qui a tal proposito.
La ricetta di oggi è semplice, senza troppe pretese. È dunque realizzabile da chiunque.
Prima di iniziare, però, serve una precisazione: la tsuyu, ossia la salsa che accompagna la soba fredda, si prepara generalmente con una base di brodo di pesce. Questa à la versione più comune ed è così che la preparo io. Tuttavia, se non consumate ingredienti di origine animale, tenete presente la possibilità di realizzare la salsa con brodo di funghi (shiitakedashi) o di alghe (konbudashi).
Per la tsuyu ho utilizzato la ricetta dell’amica Risa, autrice dello splendido blog Piece of Oishi.
INGREDIENTI per 2 persone

circa 200g di soba
Per la tsuyu:
150ml d’acqua
2 cucchiai di salsa di soia
1 cucchiaio di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di dashi granulare*
Per gli yakumi o condimenti extra da mettere nella salsa:
1 cipollotto affettato finemente

Preparare la tsuyu: unire tutti gli ingredienti necessari (acqua, salsa di soia, zucchero di canna e dashi) in un pentolino. Portare delicatamente ed ebollizione a fiamma dolce e cuocere per un minuto circa. Accertarsi che lo zucchero sia totalmente dissolto. Spegnere la fiamma e conservare in un luogo tiepido.
Prepare gli yakumi: affettare finemente il cipollotto. Ci vorrebbero anche dei buoni myōga o zenzero giapponese ma sono introvabili. Io ho grattugiato del semplice zenzero cinese o shōga.
Per la soba: riempire una pentola d’acqua e portarla ad ebollizione. Non aggiungere il sale poiché questo è già contenuto generalmente nell’impasto della soba.

Quando l’acqua bolle, versare la soba e girare con delicatezza. Lasciare cuocere per circa 5-6 minuti o per il tempo indicato sulla confezione. Trascorso il tempo di cottura, scolare e risciacquare immediatamente sotto un getto di acqua fredda. Mi raccomando, non saltate questo passaggio!
Se fa molto caldo, potete servire la soba con qualche cubetto di ghiaccio. Io non ne avevo e quindi ho aumentato i risciacqui (ne ho fatti circa quattro o cinque).
Scolare bene la soba e disporla sui piatti. Versare la tsuyu in bicchierini o coppette (i caratteristici bicchieri da soba si chiamano そば猪口 soba-choko) e disporre gli yakumi su un piattino. Servire subito.

Come precisato più su, se avete del ghiaccio servitene qualche cubetto insieme alla soba. Altrimenti accertatevi che sia ben fredda dopo averla risciacquata più volte. Se gradite, potete guarnire la vostra zaru-soba con qualche strisciolina di alga nori, proprio come ho fatto io.

Per gustare la vostra soba non dovrete fare altro che intingerne un po’ nella tsuyu dentro cui avrete già messo qualche yakumi a piacimento.


Chiudo gli occhi e sono a Edo. Non chiedetemi come. Sono lì.
