Skip to Content

Ode allo Yokan

Nella densa incandescenza di queste giornate di fine luglio scrivo un’ode allo Yokan.

Uno scritto in onore dello Yokan oppure al sapore di Yokan?

Forse entrambe le cose. Anzi sì, tutte e due.

Uno Yokan a metà tra realtà e immaginazione.

Nel ferreo rigore di questo feroce caldo le ore sembrano veramente scorrere ad una velocità diversa dal solito. Flussi di tempo saturi che fluiscono con fatica mentre con difficoltà cerco di concentrarmi sulle pagine di un libro. Ma quelle pagine sono improvvisamente più spesse, quasi umide. Mi sembra quasi di intravederne i bordi leggermente ondulati, il che provoca in me un fastidio lieve ma pungente.

Cedo alle lusinghe di un breve sonno come onirica tregua alle roventi ore di veglia. Ma poi me ne pento. Quel leggero sonno si trasforma presto in un tormentato girarsi e rigirarsi che mi catapulta in un odioso dormiveglia.

Desidero una folata di brezza anche gelida. Qualsiasi cosa purché porti sollievo.

Mi perdo allora in una fantasia. Insomma, se non posso mandare via il caldo posso però immaginarmi il fresco. Posso rievocarlo con le emozioni.

Penso allora al buio, all’oscurità, a quel territorio dove i nostri occhi s’indeboliscono e devono fidarsi di altri sensi. Quel territorio che sfugge alla luce e ai raggi irosi di questo irremovibile sole.

E penso a Tanizaki.

In’ei raisan e lo Yokan

『陰影礼賛』In’ei raisan di Jun’ichirō Tanizaki. La poca luce della foto è certamente voluta.

In’ei raisan è un saggio che io chiamo casa. Lo conosco davvero come le mie tasche. O come casa mia. È una delle mie opere letterarie preferite in assoluto. Infatti non è un caso che sia stato oggetto d’indagine della mia tesi di laurea. Attraverso l’analisi approfondita di questo libro ho avuto quasi la sensazione di aver conosciuto Tanizaki. E in un certo senso è così.
In’ei raisan è un po’ il manifesto del mio sentire giapponese più profondo.

La traduzione italiana di In’ei raisan: Libro d’ombra. Traduzione di Atsuko Ricca Suga.

In un bislacco intrecciarsi di suggestioni, penso all’esaltazione dell’oscurità di Tanizaki mentre ascolto la voce struggentemente americana di Garth Brooks nella sua The Thunder Rolls.
Giappone e America. I miei due mondi. Le mie due dimensioni dove mi sono trovata intrappolata in un ciclo di fioriture, appassimenti. E poi nuovi sbocciare.

Dalle pagine di In’ei raisan

Nel 1933, anno di pubblicazione di In’ei raisan, Tanizaki così scriveva:

“Si dice spesso che la nostra cucina non bada tanto a deliziare il palato, quanto a lusingare con le seduzioni proprie alle arti decorative. Io penso che le sue composizioni mirino anche più in alto. Si direbbe che intendano sprofondarci in meditazioni silenziose. Nel suo romanzo Il guanciale d’erba, Natsume Sōseki lodò, per il colore, quel dolce di pasta di fagioli e zucchero che chiamiamo yōkan. Che cosa più dello yōkan, e della sua tonalità, possono indurre alle meditazione? Solo a metà trasparente, e come rannuvolata, la pasta somiglia alla giada. Dall’interno si sprigiona un chiarore di sogno, quasi una sorgente di luce solare, che la liscia superficie abbia risucchiata e inabissata nel centro del dessert. Quale, fra i dolci occidentali, potrebbe rivaleggiare con questo impasto, e con il suo sapore così complesso? Non certo la panna montata, infantile, superficiale, esuberante. Nella penombra di una stanza, disponete i blocchi dello yōkan in un recipiente di legno laccato: il suo fascino misterioso aumenterà; il suo colore delicato e indefinibile si sposerà perfettamente con le tonalità della lacca. Sulla punta della lingua, il liscio, il compatto e il freddo dello yōkan si combineranno armoniosamente, come se tutta la tenebra circostante si fosse fusa in un’unica massa.” (tratto da Libro d’ombra, pagine 25 e 26).

Il mio Yokan, assaporato in una semi-penombra. Accompagnato da un matcha nella mia solita tazza da Nodate, coi bordi dipinti di cielo. Ho seguito il consiglio estetico di Tanizaki servendo lo Yokan su un vassoio hangetsu (cioè a forma di mezza luna) di lacca.

Cos’è lo Yokan?

Proprio come ha spiegato Tanizaki, lo Yokan (o yōkan, nella traslitterazione corretta, quindi con l’allungamento vocalico sulla o), è un dolce di pasta di fagioli e zucchero. Si presenta come un blocchetto di consistenza gelatinosa.
È un wagashi ossia uno dei dolci tradizionali della pasticceria giapponese classica. La sua composizione è semplice.
Esistono diverse versioni di questo dolce dove l’elemento differenziante sono le proporzioni degli ingredienti:
練り羊羹 neri-yōkan contiene più gelificante e quindi ha una consistenza più soda;
水羊羹 mizu-yōkan contiene più acqua il che contribuisce a renderlo più fresco e dunque adatto all’estate;
蒸し羊羹 mushi-yōkan preparato senza gelificante. Al suo posto si usano alcuni amidi come quello di arrowroot. Il tutto viene poi cotto al vapore.

Illustrazione di un classico mizu-yōkan estivo.

Quali sono le sue origini?

Lo Yokan è uno dei dolci giapponesi più antichi. Si dice, infatti, sia stato introdotto in Giappone nel periodo Kamakura-Muromachi (1185-1573). Quello fu un periodo caratterizzato da enormi instabilità interne e conflitti. Fu però anche il periodo in cui fiorì la cultura sotto l’influenza del buddismo Zen. Molte delle arti classiche conosciute in tutto il mondo sono nate in questo tumultuoso ed effervescente periodo della storia giapponese. Si pensi al teatro Nō, all’ikebana, alla cerimonia del tè.

In quel periodo i rapporti con la Cina erano all’apice dell’intensità, in un rapporto di massima ammirazione del Giappone verso il millenario Regno di Mezzo. Erano gli anni dei grandi viaggi dal Giappone verso la Cina, alla ricerca del sapere. La grande Cina era modello di civilizzazione e di saperi avanzati in tutti i campi conosciuti dell’epoca.

Studiosi, avventurieri ma soprattutto i monaci erano i protagonisti indiscussi di quei leggendari viaggi. Si sapeva quando si partiva ma non quando si sarebbe potuti ritornare in patria. Alcune volte i viaggiatori ci impiegavano anni a ritornare. Altre volte, invece, il ritorno non sarebbe mai avvenuto.

Fu proprio un monaco di ritorno dalla Cina ad introdurre questa specialità in Giappone.

Ma c’è una curiosità piuttosto affascinante.

Un dolce che non era un dolce

I bellissimi caratteri che compongono il nome Yokan sono questi: 羊羹.

I caratteri non hanno bisogno di essere interrogati. Basta osservarli. Sono loro a raccontarci storie che a volte sembrano dissoltesi via da un sogno verso la dimensione di veglia.

I due caratteri, infatti, ci restituiscono due vocaboli curiosi: pecora e brodo caldo.

Nell’antica Cina si consumavano abitualmente solo due pasti al giorno: uno al mattino e uno alla sera. Però capitava che magari durante il giorno le persone trovassero ristoro in un piccolo spuntino leggero. Questi intermezzi gastronomici si diffusero soprattutto tra i viaggiatori della Via della Seta che, come si può immaginare, avevano bisogno di fermarsi spesso durante il tragitto per rifocillarsi.

Ebbene, al tempo del monaco che importò la ricetta in Giappone, i cinesi erano ancora abituati a questi due pasti principali inframezzati ogni tanto da spuntini che chiamavano 点心 tenshin (ovvero quelli che ora conosciamo col vocabolo cantonese Dim Sum). I tenshin erano e sono tradizionalmente accompagnati dal tè. Il nome in cinese indica qualcosa che tocca il cuore, che conforta, che ristora.

Tra i tenshin in voga all’epoca ce n’era uno a base di una leggera gelatina prodotta dalla bollitura di un brodo di montone.

Il monaco portò con sé la ricetta della preparazione di questo particolare tenshin ma, ovviamente, la riadattò perché fosse in linea coi precetti alimentari del buddismo zen che vietavano il consumo di ingredienti di origine animale.

Il riadattamento prevedeva l’uso di fagioli dolci, il che generò proprio lo Yokan come lo conosciamo noi oggi.

La ricetta

La ricetta dello Yokan è sorprendentemente semplice. Si tratta, in fondo, di un composto che viene unito ad un gelificante vegetale.

La difficoltà, tuttavia, sta nella realizzazione della marmellata di azuki che è molto più complessa e insidiosa di quanto non sembri.
E una buona marmellata di azuki realizzata correttamente richiede una certa esperienza ma è un qualcosa che sa regalare ricordi indelebili.

Marmellata di azuki e varie

In Giappone ho mangiato molte marmellate di azuki artigianali e casalinghe. Era un dono piuttosto comune e mi capitava abbastanza spesso di riceverne dei vasetti da amiche e conoscenti.

Erano tutte diverse, ognuna col tocco personale di chi l’aveva preparata. Alcune erano più dolci e spesse mentre altre viravano verso una dolcezza più sobria, più contenuta, quasi educatrice.

La migliore era la marmellata di azuki della signora Fusae. Me ne portava spesso dei piccoli vasetti, a volte come ringraziamento per le nostre indimenticabili lezioni pomeridiane d’italiano. La sua era veramente straordinaria: perfettamente equilibrata nella dolcezza e nella cremosità che a volte tendeva ad una leggera cristallizzazione.

Insomma, ho pensato che la via migliore per invitarvi a preparare il vostro primo Yokan senza impelagarvi nelle insidie della marmellata di azuki artigianale fosse quella di iniziare usando degli azuki bolliti.

Ossia questi:

Yude-azuki o azuki bolliti.

Gli azuki bolliti si trovano molto facilmente nei negozi di alimentari asiatici qui da noi. Li ho visti veramente ovunque, addirittura nel reparto etnico di qualche grande supermercato!

Quasi sicuramente troverete proprio questi della marca Imuraya.

Yude-azuki di Imuraya.

Gli yude-azuki sono azuki già bolliti al punto giusto. Sono già zuccherati e pronti da consumare. Sono la base ideale per preparare una buona marmellata di azuki senza sbagliare.

Della marmellata di azuki esistono due tipi principalmente: la 粒あん tsubuan e la こしあん koshian. La prima è la più rustica e grossolana avendo pezzi visibili di fagioli al suo interno. La koshian, invece, è la versione più raffinata in quanto liscia e priva di bucce. Quest’ultima è molto indicata per farcire dolci oppure per uno Yokan elegante.

Yokan: finalmente la ricetta

Con questa ricetta si realizza un blocchetto di Yokan adatto ad una pausa tè per due o tre persone.

La ricetta si divide in tre fasi: la preparazione della koshian, dello Yokan e dello stampo.

Preparazione della koshian:

Preparazione Koshian

Servirà una lattina di Yude-azuki da 200g (questo è il formato standard che si trova qui da noi). Aprirla e versarne il contenuto nella coppa di un frullatore ad immersione. Frullare fino ad ottenere una crema omogenea. Trasferire la crema in un tegame e far cuocere a fiamma bassa per circa dieci minuti. La crema si asciugherà parecchio. Attenzione a non bruciarla. Otterrete così circa 100g di koshian.

Preparazione dello Yokan:

Servono i seguenti ingredienti:

Ingredienti

100g di koshian
63ml d’acqua
4g di agar-agar in polvere

La procedura è semplice e veloce.

Preparazione Yokan

In un pentolino versare l’acqua e l’agar-agar. Mescolare bene con una frusta. Mettere a cuocere a fiamma media e portare ad ebollizione. Far bollire per due minuti. A questo punto stemperare all’interno la koshian. Mescolare bene e far cuocere per circa un minuto. Il composto ricorderà molto come consistenza la cioccolata calda.

Preparazione dello stampo:

Per lo Yokan servirebbe uno stampo apposito in metallo ma non è obbligatorio. Possiamo fare altrimenti.
È sufficiente un contenitore quadrato o rettangolare di vetro che rivestirete di pellicola per alimenti. È importante che la pellicola aderisca bene alla superficie interna del contenitore. Inumidire l’interno con acqua.

Preparazione stampo

Quando il composto dello Yokan sarà pronto, lasciarlo raffreddare per un paio di minuti dopodiché versarlo nello stampo rivestito di pellicola inumidita. Coprire e riporre in frigorifero per almeno un’ora.

Trascorso questo tempo, lo Yokan si presenterà come un blocchetto sodo. Tagliarlo nella forma che si preferisce e servirlo accompagnato da matcha, sencha o dalla bevanda che preferite.

Il mio Yokan pronto da tagliare.

In conclusione

Il mio Yokan è un mizu-yōkan quindi adatto proprio a queste temperature infuocate di questo periodo. In esso c’è tutta la magia estetica di Tanizaki nonché la struggente malinconia dell’estate giapponese con i suoi matsuri, i canti delle sue cicale, la prepotenza di quell’afa che sembra penetrare fin negli abissi dello spirito. E lo Yokan sembra proprio che risucchi la luce, come scriveva Tanizaki, per custodirla al suo interno.

E allora pare prender forma l’illusione di oscurità, di penombra, di tregua dal caldo. Di ristoro fisico e mentale.

Il mio Yokan casalingo, assaporato nell’illusione della frescura di una penombra piuttosto immaginaria.

Verasia: la mia esperienza

Una sezione della mia amata libreria giapponese personale.

É da quando ero bambina che i libri sono fonte di una gioia elettrizzante che non accenna ad affievolirsi. Ho conosciuto il piacere della lettura quando ancora stavo apprendendo i rudimenti della sillabazione italiana e già i miei occhi curiosi ispezionavano pagine di riviste e volumi che trovavo in casa.
La sete di sapere mi ha condotta negli anni a divorare un numero incalcolabile di libri. Prima unicamente in italiano. Dopodiché, raggiunta la padronanza dell’inglese, ecco spalancarsi le preziose porte intarsiate del panorama letterario anglosassone. E infine, il giapponese. Gloriosa lingua di cui mi sono innamorata perdutamente dal primo giorno sulle pagine del leggendario Japanese for Busy People, sui banchi della mia università a Camp Zama, in Giappone. Un profondo amore che, tra sorprendenti alti ed abissali bassi, mi avrebbe condotta fino alla corona d’alloro, laureandomi in letteratura giapponese con una tesi dedicata a un magnifico libro: 「陰影礼賛」In’ei raisan (Libro d’ombra) di Jun’ichirō Tanizaki.

Leggere: una rigorosa palestra didattica

Per me leggere è la palestra didattica più rigorosa che ci sia. E l’apprendimento di una lingua deve, a mio modesto parere, presupporre necessariamente che si divorino quanti più libri possibili nell’idioma di proprio interesse. Non per tutti è così, sia chiaro. Ma per me questa è una regola. Ricordo ancora le parole del mio caro professor Simmons, docente d’inglese della mia università in Giappone, quando – davanti ai miei indugi nel consegnare i tanti research paper previsti dal programma – m’incoraggiò dicendo che nel mio inglese scritto aveva colto la qualità che acquisisce chi legge tanto.

Non riporto questo episodio per farne un vanto (anche se, lo ammetto, provo una punta di orgoglio a ripensarci) ma perché in effetti la capacità espressiva in una lingua cresce in maniera direttamente proporzionale al numero di libri letti. Tutto si rafforza e splende, in particolar modo la ricchezza lessicale.

Con l’inglese ho scalato un Everest libresco. Un’entusiasmante ma faticosa arrampicata iniziata ufficialmente col mio primo libro in inglese letto per intero, da sola, nella mia stanza ad Orem, Utah, mentre fuori sventolava una fiera Star-Spangled Banner: The Pink Motel, di Carol Ryrie Brink. Giunta all’ultima pagina, mi sentivo spossata ma al contempo immensamente fiera dell’obiettivo raggiunto. Sarebbero seguiti moltissimi altri libri, di tutti i generi e tutti i livelli di difficoltà.

E col giapponese mi sono ritrovata a scalare un altro Everest, forse, per certi versi, ancora più scosceso e inospitale del precedente.

Ma sono una persona dotata di pertinace perseveranza e non mollo la presa fino al raggiungimento del mio obiettivo. Costi quel che costi.

Dunque, la mia scalata cocciutamente procede.

Dove trovare libri in giapponese?

Riuscire a reperire libri in lingua giapponese in Italia è piuttosto un’impresa. È spesso un percorso un po’ dispendioso, ricco di tortuose gincane e non sempre risolvibile passando dal poco amato Amazon. Quest’ultimo, infatti, nella sua versione italiana, ha poco o nulla. I rimandi portano invariabilmente a rivenditori giapponesi o americani presentando, così, l’inquietante incognita delle imposte doganali.
Sono della vecchia generazione che ha studiato sulla carta e che difficilmente riesce a trarre lo stesso piacere da e-book e simili. La sensazione coi testi digitali è quella di non riuscire ad assorbirne appieno il contenuto come invece succede con il cartaceo.
Infatti, per me ogni volume della mia libreria giapponese rappresenta un’avventura e un ricordo. Ognuno di essi è il frutto di pazienti ricerche, trepidanti cacce al tesoro, attese talvolta lunghissime ed esasperanti, folate di serendipità, clamorosi colpacci di fortuna.
Come quando ritrovai l’agognato magazzino delle rimanenze della mitica libreria Mangetsu di Torino. Ne parlai qui. Oppure come quando entrai in contatto con una signora giapponese di Rimini che, volendosi disfare di alcuni suoi libri, me li regalò chiedendomi solo qualche euro per la spedizione.

Dedicherò altri articoli all’argomento libri nella speranza che possano essere d’aiuto a chi, come me, ha sviluppato una sorta di ossessione da libro giapponese. D’altronde, penso di aver accumulato un discreto numero di dritte e trucchetti che potranno, indubitabilmente, aiutare chi si trovasse a far parte di questa nicchia linguistica.

Un’altra mensola della mia amatissima libreria nipponica.

Dei vari punti miei di riferimento per l’acquisizione di libri giapponesi c’è sicuramente Verasia. Ed è proprio di Verasia che vorrei condividere le mie impressioni e la mia esperienza.

Precisazione: questa è una recensione libera e sganciata da qualsiasi programma di affiliazione o altro. Non collaboro con Verasia e dunque le opinioni qui riportate sono liberamente le mie.

Verasia: chi sono e di cosa si occupano

Nella mia imperterrita e tenace ricerca di libri giapponesi a prezzi accessibili, un giorno ho trovato il sito di Verasia. In rete ci sono pochissime recensioni tanto da farmi un po’ indugiare prima dell’acquisto. Questa mia recensione, dunque, è esattamente ciò che avrei voluto trovare.

Il negozio virtuale è presentato interamente in italiano ma la sede fisica di Verasia è a Madrid, in Spagna. Verasia fa capo ad un gruppo che si chiama Aprende Chino Hoy S.L., un’azienda dedicata alla vendita di materiale didattico per l’apprendimento del giapponese, del coreano e del cinese.

Insomma, una vera Eldorado per qualunque asiatista!

Verasia: Assortimento

Il ricco assortimento di libri mi sorprese dal primo momento. Le categorie sono tante e spaziano dai libri di lettura a quelli di testo per lo studio del giapponese. Quest’ultima categoria, tra l’altro, è particolarmente ricca e comprende di tutto: dai dizionari (di vario tipo) ai libri di testo classici fino ad arrivare, ad esempio, a volumi di approfondimento della comprensione orale o dei kanji.
Non mancano, inoltre, testi di supporto alla preparazione di esami di certificazione come il celebre JLPT, il Kanken o addirittura il NAT-test.
Nel vastissimo assortimento offerto da Verasia, sottolineo anche che è possibile trovare ogni mese la copia aggiornata dello storico mensile bilingue (giapponese-inglese) Hiragana Times!

Alcuni dei numerosi libri che ho acquistato da Verasia

Verasia: le mie scelte libresche

Verasia, oltre ad offrire un’ampia selezione di libri di vario genere a prezzi decisamente onesti, ha sul proprio sito anche una sezione dedicata all’oggettistica: scatole per bentō, furoshiki, calze tabi, tazze, poggia-bacchette, articoli di cancelleria assortiti nonché tutto il materiale per chi pratica calligrafia.

Fino adesso tutte le mie scelte hanno sempre riguardato esclusivamente i libri: ho acquistato libri di studio dedicati al perfezionamento di determinate abilità, come l’ascolto. Ho acquistato, ad esempio, un volume straordinario intitolato 「めしあがれ」Meshiagare che, attraverso meravigliosi brani ben strutturati, ripercorre la storia della cucina giapponese e permette di arricchire la propria conoscenza di microlingua.

Meshiagare è il primo libro a sinistra. Al centro il manuale di Shadowing e infine il bellissimo Yonkoma manga de oboeru nihongo.

Oltre lo straordinario Meshiagare che per meticolosità e ricchezza di contenuti meriterebbe di essere un best-seller incontrastato tra i giapponesisti di ogni dove (soprattutto se, come me, hanno il pallino della cucina!), grazie a Verasia sono riuscita a procurarmi anche un grandioso manuale dedicato alla tecnica dello shadowing.

Conviene ricordare che Verasia, inoltre, sconta molto spesso una selezione di articoli (libri e non) che si possono acquistare fino al 50% in meno! Grazie ad una di queste offerte, infatti, ero riuscita ad aggiudicarmi una copia del simpaticissimo 「4コママンガでおぼえる日本語」Yonkoma manga de oboeru nihongo (v. foto qui sopra): un libro che, attraverso gli yonkoma o strisce di fumetto a quattro vignette e solitamente di taglio umoristico, insegna varie espressioni della lingua. È proprio grazie a questo format che l’apprendimento risulta facilitato e di conseguenza la memorizzazione.

Verasia: narrativa

Ma oltre questi libri più di studio, diciamo, mi sono regalata alcune gemme letterarie.

Splendida narrativa giapponese!
Verasia: libri

Piccole grandi meraviglie di narrativa giapponese adornano la mia libreria e allietano le mie ore di nippo-letture. Come ad esempio, 「きまぐれロボット」Kimagure robotto di Shinichi Hoshi. Vi parlai di questo libro proprio qui. Oppure il mio amatissimo 「神様」Kamisama di Kawakami Hiromi a cui ho dedicato un articolo qua.
Non mancano poi l’inquietante ma irresistibile 「ふしぎな図書館」Fushigina toshokan (in italiano tradotto col titolo di ‘La strana biblioteca’) di Murakami Haruki, divorato in poche ore e col fiato sospeso.

E l’ultimo arrivato in casa Biancorosso Giappone: 「旅猫リポート」Tabineko ripōto di Arikawa Hiro. La storia del gatto viaggiatore che ha riscosso talmente tanto successo in Giappone da ispirare la produzione di un film omonimo, del 2018 e noto all’estero col titolo in inglese: The Travelling Cat Chronicles.

Locandina giapponese del film Tabineko ripōto.
Locandina di The Travelling Cat Chronicles.

Scoperta sempre grazie a Verasia, un’altra chicca di narrativa, questa volta però di autori emergenti. Una raccolta di brevi racconti con la cucina come delizioso filo conduttore: 「5分後に美味しいラスト」Gofun go in oishii rasuto.

Verasia: per concludere

Fino adesso tutti miei ordini da Verasia si sono conclusi senza intoppi e con massima soddisfazione da parte mia. La consegna impiega generalmente dai 4 ai 7 giorni circa e avviene tramite corriere. Quasi sempre è DHL ad occuparsene anche se, a volte, capita sia il non amatissimo SDA. Tuttavia, non ho mai avuto alcun problema nel ricevere i miei pacchetti da Verasia.

Altra nota importante è quella relativa ai costi di spedizione che sono decisamente ragionevoli e non scoraggiano: €3.95 indipendentemente dalla somma totale dell’ordine.

Il servizio di assistenza clienti, raggiungibile telefonicamente o via mail sia in italiano sia in inglese (e anche in spagnolo, naturalmente) è eccellente. Su richiesta, procurano anche titoli non presenti in catalogo.

E ad ulteriore dimostrazione della loro professionalità e savoir-faire, in uno dei miei ordini più recenti mi hanno inviato anche un gradito omaggio: un quaderno per esercitarsi coi kanji.

Gradito omaggio da Verasia!

Prossimamente condividerò altri consigli utili a chi legge in giapponese o chi è alla ricerca di letture sul Giappone non reperibili nei consueti circuiti di librerie italiane.

またね。Mata ne!

I piaceri della letteratura giapponese

I piaceri della letteratura giapponese di Donald Keene

Il grande scrittore americano Francis Scott Fitzgerald, uno dei protagonisti della Jazz Age e dei Roaring Twenties nonché autore del romanzo The Great Gatsby, in merito al valore della letteratura scrisse:

That is part of the beauty of all literature. You discover that your longings are universal longings, that you’re not lonely and isolated from anyone. You belong.

Parte della bellezza di tutta la letteratura è scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni.

In questo breve pensiero di Fitzgerald è racchiuso, a mio parere, il motivo per cui il piacere di produrre e consumare letteratura resiste. Nonostante tutto.
La letteratura è uno specchio in cui ognuno di noi può vedere la propria immagine riflessa e ritrovarvi familiarità, appigli e, di conseguenza, un conforto.
E’ la conferma che tutto il mondo è davvero paese e l’essere umano, in fondo, è sempre lo stesso. Indipendentemente dalle latitudini in cui risiede, dalla sua lingua, dal colore della pelle, dallo stile degli abiti che indossa e da tutte quelle caratteristiche che percepiamo come distintive.

In tanti momenti ho tratto conforto e beneficio dalla letteratura di ogni dove individuando nei libri i miei unici amici.
In molti momenti bui della mia vita sono riuscita a rintracciare rassicuranti giacigli tra vicende frutto dell’immaginazione ma anche di resoconti di realtà. Tutto però avvolto in una coltre di continua consapevolezza in cui, come osserva il sociologo Edgar Morin nei suoi studi applicati all’antropologia del cinema, il senso di realtà non è mai disgiunto dall’illusione di realtà.

Dunque, a mio modesto avviso, anche nel piacere della letteratura si verificano dinamiche simili a quelle che Morin acutamente osserva nel rapporto tra lo spettatore e l’illusione cinematografica.

Una chiave per la conoscenza

La letteratura non è solo conforto e momento di balsamico ristoro ma anche una chiave per la conoscenza.
Una chiave con cui aprire porte che, altrimenti, resterebbero sigillate oppure socchiuse quel tanto da impedire un agile accesso verso ciò che si cela al di là di esse.

Un modo con cui avvicinarsi alla cultura di un popolo che ci affascina è proprio attraverso la sua espressione artistica. Una scoperta che può avvenire tramite la narrativa, la poesia, il teatro, la pittura, la musica, le tradizioni orali di trasmissione di leggende, miti cosmogonici, favole, canti.

I piaceri della letteratura giapponese

Questo il titolo della preziosa raccolta di saggi di Donald Keene, riproposti dalla casa editrice torinese Lindau per la collana i Bambù. Una collana irrinunciabile per qualunque nipponista o semplicemente appassionato di Giappone. Indipendentemente dal proprio livello di preparazione in materia.

La raccolta, uscita nell’ottobre del 2021, contiene cinque saggi basati su conferenze che il professor Keene tenne alla New York Public Library, al Metropolitan Museum of Art e alla UCLA.

Donald Keene è un esperto incontrastato nel campo degli studi giapponesi e una delle voci più autorevoli in materia in tutto l’Occidente. Il compianto professore è stato docente di letteratura giapponese alla prestigiosa Columbia University ed è autore di alcune monografie nonché di un’immensa opera in più volumi che ripercorre la storia della letteratura del Giappone. Un’opera, quest’ultima, straordinaria e monumentale, da cui tutti i nipponisti e aspiranti tali, prima o poi, devono passare se intendono acquisire una comprensione solida dell’argomento.

Per me non è stato molto diverso. Ho preparato tutti i miei esami di letteratura giapponese antica, moderna e contemporanea sul suo mirabile magnum opus nonché tributo d’amore al ricchissimo patrimonio letterario del Giappone.

I piaceri della letteratura giapponese è un’eccellente introduzione all’argomento perché la trattazione è rigorosissima ma avvicinabile anche dai non addetti ai lavori. Questo è il punto di forza dell’opera: un vero e proprio assaggio esaustivo per chi muove i primi passi in questo straordinario campo.

Una parte dei miei libri di letteratura giapponese tradotti in italiano

Struttura dell’opera

Ho apprezzato particolarmente la scelta della copertina che adorna il volume. L’opera riprodotta s’intitola Strumenti per la scrittura di Yashima Gakutei, del 1820 circa.

La raccolta contiene cinque saggi:

L’estetica giapponese
La poesia giapponese

Gli usi della poesia giapponese
La narrativa giapponese
Il teatro giapponese

Ogni saggio fornisce al lettore una panoramica sintetica ma precisa dove la sintesi non pregiudica la completezza del messaggio. Inoltre, in ogni capitolo sono chiari i contesti storico-culturali in cui le varie forme letterarie si sono sviluppate nonché le caratteristiche tecniche della poesia, della narrativa ecc.
Il linguaggio è comprensibile e assai coinvolgente grazie allo stile distintivo del professor Keene che amava profondamente la letteratura giapponese e che di questo amore rendeva partecipi tutti noi.

Il mio preferito

Ho amato tutti e cinque i saggi ma il mio preferito è il primo, quello dedicato alla concezione estetica giapponese. Un magistrale intervento che, in poche pagine, riesce a dipingere un quadro acuto della sensibilità estetica di un popolo che percepisce ed esprime con indiscutibile raffinatezza.
Non poteva che essere il primo saggio a piacermi più di ogni altro. Dopotutto, dedicai la mia tesi di laurea proprio al concetto di estetica come proposto da Jun’ichirō Tanizaki in quel breve ma straordinario saggio che scrisse nel 1933: 陰翳礼讃 In’ei raisan. Un finissimo gioco di luci ed ombre che ci conduce proprio nei meandri di una elevatissima concezione del bello.

La mia copia originale giapponese di 陰翳礼讃 In’ei raisan di Tanizaki, opera che ispirò la mia tesi di laurea
Traduzione italiana del saggio, col titolo di Libro d’ombra, edito da Bompiani.

Tuttavia non è da In’ei raisan che il professor Keene imposta la sua premessa ma da un’opera di molto antecedente nonché uno dei grandi classici della letteratura giapponese medievale: 徒然草 Tsurezuregusa (tradotto in italiano come Ore d’ozio), di Kenkō Hōshi, risalente all’incirca al 1330.
E’ proprio in questa raccolta di prose ispirate da riflessioni, ricordi, pensieri, sensazioni che Keene rintraccia le quattro caratteristiche che spiegano il gusto giapponese. Attraverso questa analisi anche il semplice lettore appassionato acquisirà importantissimi strumenti di indagine e comprensione della sensibilità estetica giapponese.

I quattro aspetti che Keene individua in Tsurezuregusa sono: suggestività, irregolarità, semplicità e deteriorabilità.

Non è un caso che il tema dell’estetica sia primo nell’opera perché la comprensione profonda e attenta dei quattro criteri renderà possibile l’intendimento della poesia, della prosa e del teatro. Il contrario è forse possibile ma certamente più arduo.

Dunque, vi invito alla lettura de I piaceri della letteratura giapponese dell’eminente professor Donald Keene. Esso vi fornirà uno squisito strumento di comprensione utile per qualsiasi aspetto della cultura giapponese vogliate esplorare ed approfondire.

I piaceri della letteratura giapponese

Ciao! Anche Biancorosso Giappone usa i cookie! Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni?

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi