Torino in uno strabiliante sabato di maggio

Siamo già nel cuore di maggio. Piogge capricciose si alternano a giorni di sole abbagliante e tutto ha già il sapore dell’estate. Imponenti cumulonembi fluttuavano su un cielo blu clematide e facevano proprio pensare a quegli sfolgoranti cieli estivi quando l’aria è rovente, il Po langue, le cicale friniscono con ardore e per un attimo si ritorna fanciulli. Ma proprio solo per una frazione di un luminoso secondo.
Poi si torna grandi e in quel dipinto maestoso nel cielo si stemperano le malinconie e i sospiri.

Fantasticheria di maggio

La superficie del fiume, come lo specchio di Alice, riflette il cielo e sembra custodire un mondo capovolto.

Il sabato, per me, è giorno di ritorno nella mia Asia torinese. Un puntuale appuntamento a cui non rinuncio spesso. Luogo vibrante ove convergono energie, speranze, sogni realizzati ed infranti. Lì vi si percepisce la disperazione, l’ingegno aguzzato dalla necessità, la lenta ed inesorabile quotidianità sempre diversa e sempre così assurdamente uguale. È lì che può capitarti di finire, in maniera del tutto fortuita (o forse no?) alla Pescheria Wang, negozio nascosto nel cuore più profondo di Porta Palazzo: Piazza Don Paolo Albera.
E allora entri e vieni immediatamente travolto dall’inconfondibile odore di Asia. Quella fragranza pungente che sa di molluschi, frutti tropicali, foglie di tè e unguenti medicinali.
Quell’odore che ti penetra nell’anima e non ti abbandona più. Quell’odore che si mescola al vivace trambusto e al vociare in un idioma di cui cogli solo un sapore di consuetudine.

Mi oriento in quel dedalo di colori, profumi e logogrammi che mi parlano attraverso il giapponese. Mi giro e vedo straordinari mangostani malesi e jackfruit tailandesi.

È un mondo così bizzarramente familiare.

Qui cercavo l’Asia quando non sapevo nemmeno cosa fosse. E poi l’avrei trovata per davvero e ritrovata mille volte ancora, nel mio punto di partenza, nella mia personalissima estremità del cerchio.

Dalle valli canavesani

Da amici con il privilegio di avere delle terre nel Canavese – storico territorio piemontese situato tra Torino, la Val d’Aosta, il Biellese e il Vercellese – ho ricevuto in dono delle verdure freschissime. Tra queste, delle meravigliose coste (o bietole da costa, che dir si voglia).

Associo, come molti forse, il profumo e il sapore delle coste a quello vigoroso del limone. Per me le coste hanno il sapore della cucina spoglia ed essenziale di mia nonna Maria Teresa che – contrariamente all’immagine idealizzata della nonna – ha sempre detestato cucinare.

Avrei potuto, quasi meccanicamente, riscoprire il sapore delle coste al limone e riassaggiare quei gusti non complicati che – al netto di tanti epicurei sofismi – riescono immancabilmente a smuovere qualcosa nel profondo.

Però ho voluto dedicare la bellezza di questi ortaggi così genuini e brillanti al mio grande amore per la cucina giapponese.

E così ho preparato i スイスチャードのおにぎり Suisuchādo no onigiri ossia onigiri di coste.

Illustrazione di deliziosi onigiri di coste. Fonte.

Gli onigiri sono uno dei tanti argomenti di cui scritto tanto negli anni. Ma così tanto da non ricordare nemmeno quanto. Tra gli scritti degli ultimi anni, vi consiglio questo. O se volete fare un bel salto indietro nel tempo, allora questo.

Gli onigiri, in poche e spoglie parole, sono delle polpette di riso che sono spesso (ma non sempre) farcite in vario modo. Rappresentano uno dei soul food giapponesi. Va assaggiato e compreso a livello quasi di anima, pena il totale fraintendimento e la sua ingiusta relegazione a cibo insulso e noioso.

Per dare il giusto risalto a queste squisite verdure canavesane, ho scelto quindi di preparare degli onigiri avvolti nelle foglie di coste anziché nel classico foglio di alga nori.

In Giappone questo ortaggio è conosciuto prevalentemente col nome europeo di スイスチャード Suisu-chādo (che all’incirca significa bietola svizzera). Sono note anche col nome cinese di フダンソウ fudansō.

Illustrazione di coste o biete svizzere, come le chiamano i giapponesi. Fonte.

Ricetta: onigiri di coste

La ricetta che condividerò è di una semplicità disarmante ma di un discreto effetto coreografico.

Questi onigiri deliziosi si prestano a molte modifiche in base ai vostri gusti e sono perfetti per un picnic, uno spuntino, un pranzo veloce oppure per riempire il vostro obentō.

Vediamo subito gli ingredienti:

Per 6 onigiri:

6 coste, ben lavate
300g di riso cotto*
sesamo nero o bianco q.b.
Furikake (facoltativo)

*Per la ricetta vi servono 300g di riso cotto che si preparano con 150g di riso giapponese crudo e circa 230ml d’acqua. Se desiderate le indicazioni per la preparazione del riso giapponese al vapore vi rimando qui. Per la spiegazione rapida: lavare il riso tre o quattro volte, metterlo in un tegame con la quantità indicata d’acqua. Chiudere il coperchio, portare ad ebollizione a fiamma alta e – non appena inizierà il bollore – abbassare la fiamma al minimo e lasciar cuocere per 15 minuti circa. Non aprire il coperchio durante la cottura.

Nei miei giri in solitaria per l’Asia torinese, ho trovato con mia somma sorpresa del riso koshihikari Wadachi, proveniente dalla prefettura di Nīgata!

Preparazione delle coste

  1. Scegliere coste con foglie integre e gambo. Lavarle molto bene e scottarle in acqua bollente salata per dieci secondi al massimo. Scolarle delicatamente e asciugarle una ad una facendo attenzione a non romperle. Tagliare i gambi e metterli da parte.

2. Disporre le foglie, che avrete precedentemente tamponato con delicatezza, sopra un piatto.
Tagliare i gambi per lungo a strisce sottili e tagliuzzarli finemente.

Preparazione del riso

3. Trasferire il riso cotto caldo in un recipiente e aggiungere i gambi tritati, del sesamo a piacere, un po’ di furikake a vostra scelta. Se non avete il furikake, potete condire con del pepe, un po’ di sale, un pizzico di peperoncino, ecc. Mescolare bene con un cucchiaio di legno facendo attenzione a non rompere i chicchi.
Dividere il riso in 6 porzioni uguali.
Potete ora formare le palline di riso con le mani oppure, se avete paura di fare pasticci, aiutandovi con della pellicola per alimenti: basterà posizionare ogni porzione di riso su un pezzo di pellicola che chiuderete fino a formare una pallina.

Preparazione degli onigiri

4. Arriviamo al momento conclusivo. Anche per questa operazione potete aiutarvi con della pellicola per alimenti se avete paura di fare guai.
Con garbo, stendere una foglia di costa per volta e posizionare al centro una pallina di riso. Con molta delicatezza, iniziare a coprire il riso piegando la foglia dall’alto, poi dal basso e infine le parti laterali.
Proseguire così con gli ingredienti restanti.

Condividere è voler bene

Sharing is caring – dicono gli inglesi. In effetti, la condivisione è un gesto di affetto verso gli altri. E vale certamente anche per gli onigiri che, secondo una curiosa teoria, sono più buoni quando sono gli altri a prepararteli. Nel Giappone orientale, quindi anche dove abitavo io, si preferisce il termine おむすび omusubi mentre おにぎり onigiri pare essere più diffuso nella parte occidentale. E non è un caso, forse, che omusubi derivi dal verbo musubu che significa legare, collegare, unire, …quasi a voler rimarcare il suggellamento di un legame di cuore.