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Saggezze di un Himekuri 5: il bene

Saggezze di un Himekuri, parte 5
Ritorna, dopo diverso tempo, questa rubrica.

Quasi esattamente due anni fa ho pubblicato l’ultimo articolo della mia rubrica intitolata Saggezze di un Himekuri.

Uno spazio che nasceva dal desiderio di trovare spunti di riflessioni da alcuni detti giapponesi contenuti in un vecchio himekuri (un tipo di calendario). Era un’idea scaturita nel complicato 2021 e alimentata dalla necessità di trovare conforto ma – forse – darne anche.

Qui trovate i quattro precedenti articoli della rubrica:

  1. Oggi e domani;
  2. Fiorire, nonostante tutto;
  3. Acque profonde;
  4. Luna, neve e fiori;

E oggi torna questo spazio con il suo quinto articolo.

E non torna per caso. Nulla è per caso. Lo sappiamo.

Scegliere il bene

Il quinto modo di dire della rubrica

Questo è il detto – o 諺 kotowaza – apparso sulla pagina del 23 dicembre, 2015.

一日一善
Ichinichi ichizen

Traduzione
Ogni giorno, una buona azione.

Il messaggio è chiaro, forse talmente tanto da sembrare banale. Eppure di banale qui non vi è nulla.

Mi trovo in una fase della mia vita in cui la necessità di selezionare le amicizie diventa fondamentale. È già da qualche anno, a dire la verità, che ho imparato ad essere selettiva. La selettività non è snobismo ma un’esigenza dettata dal bisogno di valorizzare il tempo che resta. Contestualmente, è anche un’armatura.

Ci troviamo sempre a dover fare i conti col tempo che resta ma la consapevolezza della sua preziosità non è immediata e, come in tutte le cose, essa inizia ad aumentare quando realizziamo che non è infinito.

Da bambini e da ragazzi non ci si pone la domanda della durata del tempo perché esso semplicemente c’è.

Ad un certo punto, invece, è come se ci accorgessimo di avere fra le mani una candela che getta una luce confortante sul nostro cammino ma che, contemporaneamente, si consuma ogni giorno di più. Occorre, dunque, usare con saggezza quella luce affinché il giusto cammino sia chiaro.

Fare del bene, ogni giorno. Questo è il messaggio del detto di oggi.

Fare del bene, anche attraverso azioni piccole e poco significative in apparenza, è un gesto rivoluzionario in quest’epoca in cui ormai moltissimi sembrano assorbiti da se stessi.

Parenti, conoscenti, amici – o presunti tali – che parlano e basta. Ma non ascoltano. Valanghe di parole, di sfoghi, di lamentele, di vanti. Tutto gira intorno a loro poiché il resto non esiste.

E tu sei lì, ad ascoltare, cercando di non venir travolto dall’ondata di lagne o di autoreferenzialità che ha sostituito la conversazione costruttiva e mutualmente benefica.

Ora il beneficio è unidirezionale.

Ichinichi-ichizen. Fonte immagine.

Non voglio generalizzare perché farlo significherebbe essere ingiusti nei confronti di chi invece cerca l’equilibrio del dare e avere.

Serve, quindi, imparare il distacco elegante e diplomatico senza però mai rinunciare a fare del bene. Il rischio, quando si perde la pazienza, è di chiudersi in se stessi privandosi così della possibilità di contribuire al mondo con tante piccole buone azioni giornaliere.

Pagina del mio himekuri da cui proviene il detto di oggi: mercoledì, 23 dicembre 2015.

Basta poco per fare del bene ogni giorno: un saluto, una domanda sincera del tipo come stai? Hai bisogno di qualcosa?, un sorriso, un dono, un’informazione utile condivisa con chi potrebbe averne bisogno. Una scodella di acqua fresca da offrire ad un cane assetato. Una carezza ad un gatto. Due parole scambiate amichevolmente con qualcuno che sta attraversando una tempesta. Un caffè sospeso. Basta anche solo mostrare rispetto non alzando la voce, dicendo grazie, chiedendo scusa.

A me piace molto, ad esempio, anche ringraziare commessi, camerieri e altre figure professionali del loro lavoro e impegno. E invariabilmente ricevo in cambio espressioni timide ma grate.

Esempio di ichinichi-ichizen. Fonte immagine.

一日一善 ichinichi-ichizen significa fare del proprio meglio per gettare un semino di gentilezza ogni giorno e – aggiungo io – ripararsi da ciò che potrebbe esasperarci e scoraggiarci dal fare del bene.

Origini del detto

Come spesso accade con questi modi di dire tradizionali giapponesi, anche 一日一善 ichinichi-ichizen ha una derivazione buddista. Proverrebbe dal concetto di 六度万行 rokudo-mangyō conosciute altresì come le sei paramita, dove il termine sanscrito paramita significa all’incirca perfezioni. Si tratta di una lista di comportamenti positivi che, secondo la dottrina buddista, possono essere antidoti contro alcune delle insidie insite nell’essere umano come la pigrizia, l’avarizia, la rabbia, l’invidia ecc. Atteggiamenti quali la generosità, la pazienza, l’autodisciplina ecc. possono contrastare queste trappole.

Storicamente, dunque, l’origine di questo kotowaza è buddista ma al di là di ciò ritroviamo facilmente saggezza in questo pensiero perché la gentilezza verso il prossimo è un valore universale.

Gentili…abbuffate?

Concludo questo quinto articolo della rubrica Saggezze di un himekuri con un sorriso.

Esiste, infatti, una buffa modifica al detto di oggi proposto dal calendario himekuri: in esso si invita – ogni giorno – non tanto alla gentilezza quanto all’abbuffata di ben sette scodelle di riso!

Sette scodelle di riso al dì del golosone sono l’abbiccì.
Fonte immagine.

Il detto originale dello himekuri, se modificato, si legge: 一日七膳 ichinichi-shichizen.

Oltre ad essere stato cambiato il numero da 1 a 7, qui il vero gioco di parole si ha sulla parola zen che – come tantissime parole giapponesi – può corrispondere a molteplici significati. Tutto dipende dal kanji con cui lo si rappresenta.

È un classico caso di omofonia ovvero di relazione che intercorre tra due o più parole che hanno la stessa pronuncia ma significati diversi. E come potrete immaginare, è proprio su questo fenomeno che si basano molti giochi di parole giapponesi.

L’accezione a cui viene più immediato pensare è quella riferita allo Zen come forma di buddismo giapponese rielaborata sul modello del buddismo cinese della scuola Chán. Il carattere che rappresenta questo concetto è che in giapponese si legge zen mentre in cinese si legge chán.

Ma nel detto di oggi, lo zen protagonista non c’entra con monaci e monasteri, se non tangenzialmente. Si tratta del carattere 善 ossia il bene, la virtù. E lo si legge appunto zen. Ecco perché si invita a fare del bene una volta al giorno.

Illustrazione di una scodella di riso giapponese al vapore. Fonte immagine.

Infine, il motto del ghiottone invita al consumo di sette scodelle di riso al giorno. Ecco, qui non vi sono né monaci né virtù ma solo insaziabile voracità. Lo zen del mangione, infatti, è rappresentato dal carattere 膳 che curiosamente può significare: piccolo tavolino in legno (ho scritto qui dei tavolini o-zen)o pasto. Ma è un termine che rimane in ambito squisitamente gastronomico poiché può essere usato anche come contatore per contare bacchette e scodelle di riso secondo il complesso sistema di conteggio previsto nella lingua giapponese.

E anche questo si legge zen.

Luna, neve e fiori

Sarà il tempo che passa e con esso il desiderio di ricongiungersi all’essenza delle cose ma ritrovo nella contemplazione della natura molto sollievo. Una luna brillante che spicca nel manto blu di Prussia di un cielo notturno. L’inconfondibile fragranza delle ginestre che volteggia libera nell’aria e si insinua in ogni angolo della città. Ondeggianti glicini profumati che come avvolgenti gioielli adornano un rigoglioso pergolato.

La consapevolezza del tempo che passa – soprattutto del proprio – porta con sé un certo dolore ma anche un inaspettato distacco da tutto ciò una volta creava malessere. Ci si percepisce più leggeri, più preparati, più sicuri. Ma ecco che il tempo acquisisce una valenza diversa: è ogni giorno più prezioso. Questo spiega la selettività che inevitabilmente si adotta, in qualsiasi campo della propria vita.

Higashi e un ricordo

Con un pizzico di spensieratezza gioco con dei dolcini speciali, proprio poco prima di gustarmeli a merenda. Sono dei piccoli capolavori dolci della pasticceria giapponese e si chiamano 干菓子 higashi. Si tratta di dolcetti secchi, modellati con forme che richiamano vari elementi della natura, dai fiori di susino alle onde del mare. Minuscoli assaggi contemplativi che rimandano a una dimensione pulita ed essenziale. Sono ideali accompagnamenti ad una tazza di tè verde.
Per me gli higashi sono e saranno per sempre intrecciati al ricordo della dolce signora Fusae e che mi manca tremendamente. Non riesco a trattenere le lacrime ogniqualvolta il mio pensiero va a lei. Le sue visite pomeridiane, le nostre chiacchierate lunghissime che oltrepassavano il tramonto, i suoi dipinti, i suoi regali, i cestini di frutta che mi portava dal suo giardino. Io l’avevo adottata come la mia nonna giapponese. Per me lei era la mia cara nonna Teresa, in Giappone.

Gli higashi di Fusae

Amava portarmi dolci tradizionali e me ne donava di vari tipi. In più occasioni mi portò higashi di cui conservo affettuosamente non solo il ricordo nella mente ma anche nelle tre foto che seguono.

Coloratissimi e leggiadri doni che addolcivano i nostri pomeriggi. Quei pomeriggi ingentiliti dai caldi raggi di un sole quasi rosso e che piano piano sparivano dietro il tavolo della cucina. Eppure le nostre chiacchierate continuavano. Fusae amava Kyoto con tutto il cuore. Amava anche raccontarmi le storie dei kanji, dei proverbi, dei suoi ricordi di quando era piccola e Shinjuku era aperta campagna.

E così, con gli occhi velati di lacrime e la nostalgia che mi saliva su per la gola, ho cercato di sorridere ripensando a lei, a quei nostri pomeriggi chiacchierini e ai suoi doni, ogni volta diversi. E nel mentre ho cercato di catturare la bellezza di questi higashi che per sempre racchiuderanno tra le proprie pareti zuccherine il ricordo di Fusae.

I miei giochi di higashi

Delle volte, anzi no, tante volte mi volto indietro e mi sembra tutto un sogno. Un lungo e irripetibile sogno dal cui risveglio sono ancora frastornata.

Fiori e templi di zucchero finissimo – il pregiato 和三盆糖 wasanbontou – diventano come i dolciumi che Alice trovava disseminati un po’ qui e un po’ lì in quel bizzarro mondo onirico in cui cadde. Assaporandoli non rimpicciolisco né divento gigante ma mi sembra di rivivere nitidamente il mio amatissimo Giappone e tutto ciò che quell’esperienza contiene. A ben pensarci, è stato un po’ come ingigantire così tanto da riuscire a riaffacciarmi sul passato e rivedermi.

Luna, neve e fiori

Prosegue la scoperta dei detti e proverbi del mio vecchio Himekuri iniziata qualche tempo fa. Qui l’inizio e qua il detto precedente a questo.

Sulla pagina del giorno mercoledì 30 settembre 2015 ecco cosa leggiamo:

月雪花は一度に眺められず。
Tsuki yuki hana wa ichidoni nagamerarezu

Traduzione
La luna, la neve, i fiori non possono essere visti contemporaneamente.

Un’ammaliante luna piena che splende nella notte. Una coltre soffice e quasi impalpabile di neve candida. Fiori e ancora fiori di ogni colore e forma. Sono tre esempi che il detto ci propone come un assaggio, un campione di ciò che di straordinariamente bello ci circonda nella natura.

Ma cosa significa il non poterli ammirare contemporaneamente?

Secondo alcune interpretazioni il detto farebbe riferimento alla caratteristica che hanno le cose belle di non arrivare insieme. Generalmente quello è un privilegio che sembra spettare alle disgrazie.
Altri invece spiegano questo proverbio ricordandoci che non si possono ammirare veramente e con attenzione più cose simultaneamente, siano esse paesaggi o fiori, ma che la concentrazione reale può essere dedicata solo ad un qualcosa per volta.
Altri ancora vedono nel proverbio un’esortazione ad apprezzare ciò che si ha, senza aspettare sempre altro.
In fondo, non vi è neve in una notte di plenilunio come i fiori restano nascosti quando nevica.

Mi piace soffermarmi su un’interpretazione che viaggia sul binario centrale: è un invito e un monito a cogliere ciò che di bello vi è nella propria vita, per quanto semplice e raro o distaccato da tutto il resto. Persino in un’esistenza complicata e appesantita dai vari mali di vivere ecco che qualcosa – anche solo una – può e deve essere fonte di quel sollievo e sostentamento dell’anima. Fosse anche solo un fiorellino in un bicchiere o il sole del mattino che si intrufola dalla finestra.

Marianna

Acque profonde

Quando lo sguardo si posa con dolce riverenza sullo scorrere lento di un corso d’acqua ecco che questi colgono un invisibile sollievo.

E’ la virtù balsamica che fluisce copiosamente da ogni angolo del creato. E’ la fonte rinvigorente per occhi e spiriti stanchi.

Sto piano piano riavvicinandomi a questo mio blog perché è un’amata tavolozza su cui tracciare liberamente schizzi di parole a cui affidare, almeno in parte, il mio malessere. In parte perché a volte il vortice di emozioni sembra sottrarsi a qualunque tentativo di cattura. Come una bolla di sapone che sfugge e poi svanisce nell’aria.
Quanta incertezza e quante fratture. Quanta paura e confusione.

Acque profonde

Questo spazio dedicato alle saggezze di un vecchio Himekuri sta diventando un piccolo momento di sollievo e contemplazione. Uno spazio senza pretese che però mi sta traghettando risolutamente via dal vorace mulinello dei social.

Su ogni pagina di questo vecchio calendario himekuri intonso ecco proverbi, modi di dire, frammenti di saggezze passate ma inalterate.

La saggezza di oggi è un proverbio trovato sulla pagina di sabato, 1 agosto 2015.

深い川は静かに流れる
Fukai kawa wa shizukani nagareru

Traduzione
Il fiume profondo scorre quietamente.

Sono parole che, a pennellate di agili flutti, dipingono una persona che esteriormente è calma e pacifica ma che al suo interno custodisce (o nasconde?) una profondità di emozioni e pensieri. E’ qualcuno talmente immerso in una propria e continua contemplazione da apparire quieto, pacato e silenzioso.
Questo ritratto inevitabilmente mi fa pensare alla proverbiale acqua cheta che rovina i ponti e che riesce a sorprendere proprio per la sua inaspettata reazione ed esplosione.
Ma mi fa anche pensare alla profondità e carattere di chi parla poco e che è in netta contrapposizione alla petulante garrulità di chi ciancia soltanto.

Acque basse come tratto distintivo degli eccessivamente loquaci.

E in questo momento così dolorosamente destabilizzante ecco che il pensiero ritorna alla maestosità delle profonde acque zaffiro e alla ricchezza di pensiero che queste suggeriscono all’animo scosso.

Marianna

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