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Festival dell’Oriente: Un inaspettato mosaico

Risvegli

Sakura

Ciliegi in fiore per le vie di Torino

L’aria, a tratti già tiepida ma a tratti ancora con gelidi strascichi, ormai corre a perdifiato per le vie di questa confusa Italia annunciando a gran voce che la stagione della rinascita è qua.

Ce lo urla lei coi suoi assordanti sibili di sole ma ce lo comunicano, con un’eleganza allegra e a volte dolcemente esuberante, anche i fiori e le piante.

Ce lo raccontano eloquentemente i ciliegi in fiore che adornano con la loro celebrata bellezza alcune strade di questa mia Torino che ti entra nella pelle fino a fondersi nel tuo sangue. E s’insinua in te facendoti credere, seppur per poco, di essere grande come il mondo ma con il sapore intimamente famigliare di un quartiere.

Un invito

In questo clima di colori che sfumano e s’intensificano, di odori che ritrovano stordenti amplificazioni, d’idee animate da energiche propulsioni, ho accettato un invito.

Era un invito a partecipare a un evento che da alcuni anni ormai porta colori e novità in alcune grandi città italiane tra cui Torino: il Festival dell’Oriente.

Era la prima volta che partecipavo e – lo ammetto – ho accettato l’invito con una certa ritrosia dovuta a una mia insofferenza verso le fiere e i festival in generale. Non li ho mai amati particolarmente perché riescono inspiegabilmente a trasmettermi un senso di malinconia fortissimo. Saranno le ricostruzioni, le simulazioni, il finto, il sapore teatrale e da luna park della domenica sera che questi luoghi sembrano sempre avere.

Un Festival che mi ha sorpresa

Ma questa volta l’esperienza mi ha presa in contropiede facendomi un po’ ricredere sulle mie posizioni testarde.

Saranno state le mie due care amiche con cui ho condiviso piacevolmente questa giornata di Festival all’insegna dei colori e dei profumi d’Oriente; sarà stato il venerdì che ben si disponeva ad essere trascorso senza soffocanti calche; sarà stato il desiderio di trascorrere qualche ora in spensieratezza della leggerezza data da fardelli temporaneamente posati sul tavolo.

Cerimonie del tè e kimono al Festival

Sarà stata la cerimonia giapponese del tè a cui abbiamo assistito con molta calma e con il lusso di poter scegliere dove sederci. Sarà stata la gioia di aver incoraggiato Valeria ad andare sul palco, accettando così l’invito di Ruriko-sensei a prendere parte ad una vestizione del kimono prima di sedersi con lei davanti a una tazza di matcha.

Cerimonia del tè

Ruriko-sensei e Valeria durante la cerimonia del tè

Sarà stata la mia momentanea vittoria contro una timidezza solitamente sempre in agguato, che mi ha permesso di andare a presentarmi a Ruriko-sensei e ringraziarla per la rappresentazione appena svolta.

Saranno state le migliaia di colori che s’inanellavano l’uno nell’altro intrecciandosi in un mosaico che ai miei occhi e al mio olfatto sapeva di orgoglio buono.
Ognuno lì era fiero di quel che faceva, di quello che rappresentava e di come lo rappresentava.

Dolci, tè alla menta e frutta

Al Festival dell’Oriente c’erano vassoi stracolmi di dolci e frutta secca che sapevano di sole caldo e piogge tropicali.

C’erano danze mai sentite né viste che sembravano voler rappresentare scene di vita inedite ai nostri occhi così inguaribilmente cittadini.

Ruriko-sensei

Ruriko-sensei e il suo furoshiki color carta da zucchero.

C’erano l’elegante naturalezza di abiti indossati con la grazia di chi non ha necessità di arie. Dai kimono ai sari, dai qipao cinesi agli aodai vietnamiti.

Bicchieri di delicato tè alla menta marocchino ci lasciavano senza parole con il loro profumo fresco e avvolgente al tempo stesso. Tutto sembrava voler competere per avere la nostra attenzione.

Scie di Giappone

C’erano le 雛人形 hina-ningyoo dello ひな祭り hina-matsuri, la festa che i giapponesi celebrano a marzo e che è nota sia col nome di Festa della bambole o delle bambine.

hinamatsuri

Bambole per Hina-matsuri

 

 

In certi momenti, emozionata e quasi stordita dall’intreccio di colori, forme e significati, avrei voluto vedere tutto e sapere ogni cosa.

Quella sete di conoscenza e quella curiosità insaziabili che mi ha fatto capire, per l’ennesima volta, il mio grande amore per l’Asia e per il ricco e intricato arazzo da cui regalmente è avvolto e di cui qui al Festival dell’Oriente abbiamo avuto un delizioso assaggio.

 

samurai

Armatura da samurai

Idealizzazioni di ambientazioni giapponesi che avevano il sapore del sogno e non della realtà.

Case giapponesi

Idealizzazione di luoghi giapponesi

Koto

Suono del koto

E in sottofondo le note pizzicate del koto suonato da una sensei dal kimono blu scuro adornato, sobriamente, dal 家紋 kamon o stemma della sua famiglia.

oggetti

Oggetti e colori

E in ogni angolo quello stesso orgoglio offriva il meglio di ciò che rappresentava: dalla seta cinese alle scodelle di cocco smaltate; dagli unguenti balsamici del Vietnam ai materassini pieghevoli tailandesi; dai qipao cinesi neri e rossi con draghi di foggia antica a monili in giada; dalle terrecotte del Marocco alle bambole Kokeshi del Giappone.

Kokeshi

Bambola Kokeshi

Il Giappone che amorevolmente mi segue

E, senza farlo apposta, in un banco sono stata attratta inspiegabilmente da una scodella. Per un attimo mi era sembrato di tornare tra le bancarelle di Machida dove con Saku-chan trovavo e scovavo oggetti preziosissimi.

Non ero a Machida ma al Festival dell’Oriente dove ho trovato una scodella decisamente del periodo Showa, dei vasai Yamawa di Kawagoe:

Scodella giapponese

Scodella di Yamawa Tooki.
ヤマワ陶器.

Erano questi gli ingredienti ma soprattutto, credo, che ad aver contribuito all’incanto del tutto sia stato – seppur nei confini circoscritti del microcosmo di un padiglione – l’incontro pacifico e sereno di culture che si ritrovavano in un sol luogo per il piacere di farsi conoscere e rendere accessibile a tutti i propri tesori.

Tutto senza animosità, senza odio, senza disprezzo, senza ostilità.

In quel microcosmo dai confini circoscritti e controllati, anche se solo per poche ore, ho respirato il profumo della convivenza armoniosa fra esseri umani.

Le katana di Ishii-san.

Photo by Tetsuo Nakahara / Stars and Stripes, Guam

Una katana di Ishii-san. Photo by Tetsuo Nakahara / Stars and Stripes, Guam

Questa volta niente ricette di katei-ryoori, ma una sorpresa che scorre sulla lama da affilare di un’antica katana.

Chi di voi mi segue dagli inizi avrà familiarità con i nomi di certe persone che hanno occupato un ruolo di rilievo, in un modo o in un altro, durante la mia permanenza in Giappone.

Uno di questi nomi è quello di Ishii-san.

Ishii-san è stato il mio padrone di casa ed è il papà della mia cara Saku-chan.

Era la persona che ogni mese si premurava di portarmi in dono una scatola di wagashi freschi provenienti quasi sempre da un’unica piccola pasticceria tradizionale: Miyoshino 三吉野.

A voi un assaggio del mio consistente archivio di articoli dedicati ai wagashi, sul mio vecchio e storico blog dove tutto iniziò.

Ricorderete i miei tanti racconti, tanti davvero, dove spesso lo sfondo era la tranquilla Sagamihara, la mia casa bianca e blu a poca distanza dalle montagne del Tanzawa e dal lento ed antico scorrere del fiume Sagami.

Nutrivo particolare curiosità verso Ishii-san per la storia della sua famiglia e quel retaggio di cui era certamente molto fiero.

La sua antica casa, che a suo dire era infestata da spiriti vari che lui cercava di tranquillizzare tramite offerte di frutta, in particolare di mandarini mikan みかん, era uno dei miei luoghi preferiti perché lì trovavo tracce tangibili di quel Vecchio Giappone che ormai sopravvive nei ricordi degli anziani, nelle pagine ingiallite di libri, nei versi degli haikai e nelle vecchie case come quella di Ishii-san.

Una casa che conserva la fragranza del tempo e delle vicissitudini di una famiglia di samurai di cui lui è diretto discendente.

Sono tanti i ricordi e tutti vividi. Vividissimi. Ricordo l’angusto solaio di legno scurissimo a cui si accedeva tramite una scala, altrettanto angusta e ripida; era un nascondiglio usato dalle donne e i bambini durante gli scontri, mi diceva Ishii-san.

Ricordo la struggente fragranza del tatami d’estate in una delle stanze dove, in un torrido pomeriggio d’agosto, mi accomodai – sedendomi sopra un morbido zabuton 座布団 – in compagnia di Saku, della sua cara mamma, e di ghiaccioli agli azuki.

Nel 2013 fu dedicato ad Ishii-san un articolo pubblicato su Stripes.com, una storica rivista dedicata ai membri delle forze armate statunitensi e alle loro famiglie, dove venne intervistato a proposito di questo suo nobile retaggio e soprattutto per quel che riguarda una delle testimonianze tangibili della sua discendenza samuraica: la sua nota collezione di preziose katana. Nel 2015, poi, seguì un altro articolo che racconta di un curioso incontro.

Mi è stato chiesto, espressamente dalla famiglia Ishii, di tradurre questi articoli in lingua italiana affinché anche i lettori di Biancorosso Giappone potessero fruirne.

Quella che riporto qui di seguito è la mia traduzione in italiano dell’articolo originale apparso qui nel novembre del 2013. Seguirà, nei prossimi giorni, la traduzione dell’articolo successivo pubblicato nel 2015.

Preciso che ho ricevuto personalmente il permesso dalla redazione di Stripes, nella figura dell’avv. David Gardiner, rappresentante legale della rivista presso il Dipartimento della Difesa statunitense.

Concludo questa mia introduzione condividendo brevemente il ricordo di una katana in particolare che Ishii-san conservava nel suo studio e che mostrava solo a pochissimi. Fui una delle poche persone a cui mostrò quell’antica katana appartenuta ad un lontano antenato e la cui lama era lievemente scheggiata al centro. Con uno sguardo e un tono di voce che mai più scorderò, Ishii-san mi disse che quella lama aveva ucciso.


Letali cimeli ci mostrano l’arte della guerra.

di Tetsuo Nakahara. La traduzione è opera mia.

Masuki Ishii, 61 anni, estrae con cura la lama smussata di una spada katana curva, brandita quattro secoli fa in battaglia, e la passa sopra una pietra bagnata, con precisione mirata. Fa parte di un arsenale che, come la sua casa a Sagamihara City, è stata tramandata nella sua famiglia per generazioni. Mentre affila l’acciaio, un luccichio della sua antica lucentezza emerge e con esso un barlume di spirito dei suoi antenati samurai.

“Queste katana sono state per davvero utilizzate in battaglia; su di esse sono anche visibili macchie di sangue di 400 anni fa. “, dice Ishii. “Si tratta di katana normali, non quelle prodotte da fabbri famosi per esigenze particolari (o persone); queste furono utilizzate da normali samurai sul campo di battaglia per ferire le persone. ”

Ishii-san e una katana.

Ishii-san alle prese con l’affilatura di una katana, nella sua casa di Sagamihara.
Photo by Tetsuo Nakahara / Stars and Stripes, Guam

Ishii dice che la maggior parte della katana, o spade lunghe giapponesi, e altre armi dei samurai nella sua collezione, sono state utilizzate dal suo antenato Kiuemon Ishii e dai suoi soldati dal 1580 fino ai primi del 1600. Kiuemon era un tenente per conto di  Toshimitsu Saito, un comandante al servizio del Gen. Mitsuhide Akechi (1528-1582). Akechi lavorava al servizio del feudatario Nobunaga Oda (1534-1582) durante il tumultuoso periodo Sengoku, o guerra-stato, in cui le guerre civili imperversarono dalla metà del XV secolo fino ai primi del XVII secolo.

Ai quei tempi era consuetudine, dice Ishii, preparare una decina di katana in più per ogni samurai perché le spade si usuravano tantissimo dopo l’uso, anche solo dopo aver affrontato un paio di avversari. Ad eccezione dei samurai di alto rango, gli altri samurai dovevano affilare ed affinare le proprie spade per ogni battaglia.

In tutto, Ishii possiede circa 150 di queste spade e 60 fucili, 30 lance e altri oggetti di quel periodo, come armature e paraventi. Egli conserva il tutto nella sua proprietà samuraica risalente a duecento anni fa. Spesso affila e affina nuovamente le katana per mantenerle nelle giuste condizioni.

“Ci vogliono circa due settimane, otto ore al giorno, per affinare e rimodellare una spada e riportarla in buone condizioni. Si tratta di un lavoro serio “, dice Ishii mentre meticolosamente passa una lama sopra una pietra bagnata. Lavora in silenzio, con intensità, come se ogni colpo affilasse anche la sua mente permettendole di entrare in comunione con lo spirito dei samurai. “Penso ai miei antenati, alla storia di queste katana, a quante persone sono state uccise con esse e a come deve essere stato trovarsi in battaglia. … I miei antenati hanno combattuto tante battaglie e sono sopravvissuti con queste cose “.

Gen. Akechi alla fine tradì e uccise il suo signore, Oda, a Honnoji nel 1582; fu poi sconfitto da un altro generale di Oda, Toyotomi Hideyoshi, nella battaglia di Yamasaki quello stesso anno, al confine di Kyoto e Osaka. I samurai di Akechi si dispersero in tutto il paese per evitare ritorsioni. Non fu facile sfuggire; i contadini giacevano in attesa di poterli uccidere per poi derubarli, vendere le loro armi e armature. Coloro che sopravvissero, fuggirono con le proprie armi e armature verso Yoshioka e Ayase nonché nel Kanagawa dove la famiglia di Ishii si stabilì.

“Provo paura a volte quando penso alle battaglie dei samurai“, dice Ishii. “Ma la paura mi fa provare rispetto verso questi samurai con cui sento un legame diretto mentre affilo le lame di queste katana. Credo che queste katana abbiano più significato della katana belle e lucenti, nuove di zecca (in vendita nei negozi). Voglio che la gente conosca il significato e la storia dietro queste katana, non solo quanto siano ammirevoli esteticamente. ”

Per questa ragione, Ishii e suo figlio Takeshi Ishii dicono di essere disposti a vendere alcuni di questi tesori di famiglia ad acquirenti interessati. I prezzi delle katana partono da circa $ 2.000 e variano a seconda della condizione della spada. Sono anche disposti ad insegnare agli acquirenti come affinare e prendersi cura della spada scelta.

“Voglio che la gente percepisca lo spirito dei samurai attraverso questi elementi”, dice il giovane Ishii. “E’ bello usarle per decorare una casa, ma voglio che si comprenda quale storia si celi dietro questi oggetti. Tutti questi elementi sono ciò che resta dello spirito dei samurai. ”

Per questo motivo, il padre, che nutre anche un forte interesse per gli aerei militari americani e i piloti, dice che è particolarmente interessato a trovare acquirenti militari statunitensi.

“Penso che i samurai e piloti militari abbiano qualcosa in comune”, dice Ishii. “Mi sembra che quei piloti mettano la loro vita in prima linea per portare a termine le loro missioni. Credo che questo sia lo stesso tipo di spirito che i samurai avevano in battaglia. ”


Concludo invitando tutti coloro che fossero interessati a richiedere maggiori informazioni sulle katana in vendita di Ishii-san a contattarmi direttamente oppure a inviare un messaggio al mio amico Takeshi all’indirizzo i. takeshi @ hotmail.com (ho lasciato gli spazi volutamente per evitare che venga rilevato dagli spammatori).

Dite tranquillamente che vi manda Marianna.

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