
Immagine di いらすとや
C’è profumo di tempura (o tenpura, per usare la forma traslitterata corretta) nella cucina virtuale di Biancorosso Giappone!
Uno dei libri prediletti della mia libreria giapponese è un prezioso volumetto acquistato qualche anno fa da Tanabata, dedicato alla cultura alimentare nel periodo Edo.
Sono un’appassionata di storia giapponese dell’epoca Edo che durò circa due secoli e mezzo (1603-1868). Caratteristica principale di quell’epoca fu il controllo della potente famiglia Tokugawa su tutto il territorio, tramite l’instaurazione dello shogunato (bakufu 幕府).
Il periodo Edo – o Edo-jidai 江戸時代 in giapponese – è un’epoca che affascina gli storici e gli appassionati di cultura nipponica per le sue peculiarità. Fu, ad esempio, l’epoca della politica di isolamento quasi totale (nota come sakoku 鎖国 ) iniziata a metà del Seicento e terminata nel 1853 con le famigerate navi nere o kurofune 黒船 del Commodoro Perry. Fu l’arrivo di quelle temute navi da guerra statunitensi a sancire di fatto la fine non solo del Giappone feudale ma del Vecchio Giappone. Per sempre.
I due secoli e mezzo di isolamento favorirono la riscoperta e la valorizzazione di saperi indigeni, delle arti e della letteratura. Fiorì l’editoria e la letteratura conobbe una popolarizzazione effervescente e davvero piena di vitalità.
La tavola del periodo Edo

Un libro di poco più di duecento pagine in cui sono conservate affascinanti notizie di quell’epoca lontana eppure ancora presente. Curiosità e peculiarità delle abitudini alimentari del tempo che riescono a darci strumenti con cui degustare prospetticamente anche la tavola giapponese di adesso.
Nel libro sono contenuti, ad esempio, sfiziosi racconti sulla nascita e l’evoluzione del sushi. Vi sono affascinanti aneddoti che illustrano il rapporto che la cucina giapponese ha con le uova e con la carne di pollo. Ritroviamo appassionati ritratti dedicati al tofu, al miso e alla soba. E inframezzati qua e là, ecco qualche ricetta raccontata con la leggerezza di un’amica che ti spiega il procedimento migliore per realizzare questo o quel manicaretto.
E in mezzo a tutto questo, non mancano i numerosi episodi che ci raccontano di imperatori buongustai e ingordi samurai.
Uno shogun goloso

Il libro ci racconta, tra le tante cose, un fatto che sembra però essere sospeso in quello strano mondo tra una realtà distante nel tempo e la leggenda. Insomma, non si sa con certezza se siano andate davvero così le cose.
Comunque sia, secondo questa storia, l’illustre primo shogun Tokugawa Ieyasu pare fosse un golosone con un debole per la tempura.
Bisogna precisare che in Giappone, a differenza di quanto avveniva nella vicina Cina, la frittura non era una tecnica di cottura conosciuta. Storicamente sappiamo che essa fu introdotta dalle numerose delegazioni di missionari gesuiti portoghesi che approdarono in Giappone tra il quindicesimo e la prima metà del sedicesimo secolo.
Croccanti etimologie
Fu comunque in quel periodo, secondo alcune teorie, che il termine tempura entrò nella lingua giapponese. Alcuni sostengono derivi dal portoghese tempero che significa condimento. Altri rintracciano una sorta di legame esoterico con la parola templo.
Una delle teorie più diffuse, tuttavia, vuole che il termine tempura derivi dai giorni delle Tempora, periodo che per i cattolici rappresenterebbe un momento di santificazione del tempo nelle quattro stagioni accompagnato da raccoglimento, preghiera, astinenza dalle carni. Sarebbero stati proprio i giapponesi, molto probabilmente incuriositi da quegli strani costumi, a domandare cosa fossero quei piatti di pesce e verdure fritti che i religiosi consumavano in questo periodo liturgicamente impegnativo. E chissà, forse nei goffi tentativi di comunicazione, il nome della ricorrenza venne frainteso come il nome del piatto.

Tokugawa Ieyasu fondò il suo shogunato nel 1603 e quindi in un periodo quando ormai questa tecnica di cottura era già ampiamente nota da tempo. A quell’epoca, infatti, era diffusissima la cultura degli yatai 屋台 ossia delle bancarelle ambulanti di cibi vari. I giapponesi del tempo erano già grandi estimatori dello street food! E indovinate qual era uno dei cibi più gettonati per le strade di Edo?
La tempura!
Insomma, secondo quella storiella di cui non conosciamo il grado di attendibilità, il nostro shogun era così goloso di tempura da mangiarne a tal punto fino…a morire!
Già. Sembra proprio che la golosità per questo piatto lo abbia addirittura condotto alla fine dei suoi giorni.
Tempura di Akiko-san
Chi segue Biancorosso Giappone da anni ricorderà le ricette con la mia cara amica Akiko. Imparai da lei a preparare una buona tempura anche se, come mi disse, non è certo un piatto che si prepari comunemente nelle cucine domestiche. In effetti, aveva ragione. La tempura infatti, per quanto si possa stare attenti, garantirà fornelli e schizzi d’olio un po’ ovunque. Inoltre, è un piatto semplice solo in apparenza ma che richiede velocità e tempi ben calibrati in ogni fase della preparazione.
Insomma, è una di quelle preparazioni in cui – come le descrive molto prosaicamente mia mamma – uno cucina e gli altri mangiano.

La nostra fu una tempura classicissima e composta, cioè, dagli ingredienti prediletti per questo piatto: gamberi, zucca, melanzane, funghi e foglie di shiso.
Ovviamente, niente carne! Altrimenti che tempura sarebbe!
Se desiderate fare un tuffo indietro nel tempo e rileggere il mio racconto di allora, assieme alla ricetta di Akiko, ecco QUI.

Per l’occasione acquistai addirittura la carta da tempura che si trova comunemente al supermercato (in Giappone, naturalmente!) e serve ad assorbire l’olio in eccesso con garbo ed eleganza. Evitano, così, gli inestetismi della frittura servita su carta da cucina tipo Scottex.

Un samurai imprenditore

Torniamo agli aneddoti del libro.
Quelle spassose pagine propongono una teoria che a me era completamente nuova e che spiegherebbe la vera origine del termine tempura – o tenpura se vogliamo seguire la traslitterazione corretta.
Pare che un tale Risuke – il quale era, a dirla tutta, un ronin 浪人 ossia un guerriero samurai rimasto senza padrone, lasciò Osaka alla volta di Edo nella speranza di trovare lavoro. Giunto nella capitale, Risuke decise di intraprendere un’attività commerciale. Ispirato dal ricordo delle apprezzate bancarelle di pesce fritto di Osaka (chiamato goma-age ごま揚げ perché l’impanatura conteneva anche fragranti semi di sesamo), il nostro ronin imprenditore decise di giocarsi questa carta gastronomica nella grande Edo.
Ma…c’era un ma.
Lustri letterari
L’idea di chiamare la sua frittura “frittura di pesce e sesamo” non lo entusiasmava affatto. C’era bisogno di un nome più accattivante e che attraesse gli esigenti palati degli edokko.
Decise (saggiamente, aggiungo) di rivolgersi a un vero maestro della parola del tempo: nient’altri che all’acclamatissimo Santō Kyōden, famoso poeta e scrittore che visse a Edo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. La geniale penna (anzi, dovrei dire pennello) di Santō Kyōden seppe immortalare con arguzia e ironia la vita quotidiana del tempo, districandosi tra le vicissitudini di mercanti e riportando storie ambientate nel quartiere di piacere di Yoshiwara e per i quali fu colpito dalla severa censura del tempo.

Il nostro Santō Kyōden non tardò a trovare una soluzione. Guardò con attenzione Risuke dopodiché gli disse che dopotutto era un 天竺浪人 tenjiku-ronin ossia un ronin viandante e che vagava per le strade di Edo senza una meta. Questo vagare senza una destinazione precisa in giapponese si chiama furari ふらり.
E come tanti giapponesi, anche l’astuto Santō Kyōden amava divertirsi con le parole creando giocosi portmanteau.
Ecco che gli propose di prendere il ten di tenjiku-ronin e di unirlo a fura di furari:
ten+fura = che produce, secondo un fenomeno fonetico comune in giapponese quando si uniscono certi suoni, la parola: TENPURA!
Quindi la tempura sarebbe il piatto del ronin vagante!

Chicca linguistica
Chi studia il giapponese conoscerà sicuramente il curioso fenomeno degli ateji cioè dei caratteri che vengono assegnati in maniera arbitraria con l’intento di creare un’etimologia fantasiosa, e immaginaria.
Ebbene, secondo questa storia, lo scrittore diede un’ulteriore pennellata di creatività al nome della neonata attività del ronin viandante scegliendo gli ateji sia per FU sia per RA:
Per FU scelse 麩 che è il glutine di grano quindi in riferimento alla farina utilizzata per la pastella;
per RA scelse, invece, 羅 che indica un tessuto leggerissimo ossia un chiaro paragone al leggerissimo velo di frittura che avvolge gli ingredienti.
Infine, ci sarebbe ancora un’affascinante chiave di lettura dei kanji scelti: il 天 ten di tenpura non indica solo la natura vagabonda del ronin ma anche (e soprattutto, direi) il cielo! Infatti, una tempura ben riuscita dovrà risultare fragrante, gradevole e leggera come un cielo terso!
Santō Kyōden scrisse egli stesso i caratteri sull’insegna della nuova attività di Risuke:
天麩羅
Nel giapponese contemporaneo, tuttavia, la parola tempura ha mantenuto solo il ten del cielo e del ronin viandante mentre il resto della parola viene scritto con i caratteri fonetici dello hiragana.


Che delizia di libro deve essere questo 江戸の食卓 Edo no shokutaku, ti invidio profondamente perchè puoi leggerlo in lingua originale, non so che darei per poter leggere tradotto un libro così. Io sono un disastro in cucina, ma mi affascina molto la cucina e il “come si mangiava” nelle varie epoche storiche, o nei paesi. Questa pagina che hai condiviso è davvero preziosa, una sbirciata sulle tavole del Giappone del Seicento. Che bello!!